La tensione c’è Ma un Piano B non esiste

by Sergio Segio | 20 Luglio 2013 6:40

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La sentenza di primo grado emessa ieri dal tribunale di Milano contro Lele Mora, Emilio Fede e Nicole Minetti, amici e sodali dell’ex premier, viene percepita come un assaggio amaro in vista di quel verdetto. Eppure, l’esito è tutt’altro che scontato. E comunque, la prospettiva che la maggioranza frani per i contraccolpi giudiziari del Cavaliere va considerata un’ipotesi possibile ma estrema. Non solo perché ultimamente Berlusconi  ha affermato di voler distinguere fra i suoi processi e l’appoggio al governo: un atteggiamento responsabile.

L’altro aspetto da non sottovalutare è la determinazione del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, a scongiurare una crisi: da qualunque parte arrivi la minaccia.
Il suo discorso dell’altro ieri non ha soltanto difeso e «salvato» il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, provocando perfino qualche malumore fra i partiti per il suo interventismo. Ha anche lanciato un avvertimento a quella «lobby della crisi», presente sia nel Pdl che nel Pd, che è tentata di approfittare di qualsiasi occasione per colpire Palazzo Chigi.
Quando ha consigliato di attendere «con rispetto» il giudizio della Suprema Corte, e di non sovrapporre impropriamente piani che debbono rimanere separati, il capo dello Stato parlava a tutti: sia a Berlusconi che ai suoi avversari. E voleva ribadire che se il governo Letta non può essere non può essere destabilizzato per il brutto pasticcio della moglie e della figlia del dissidente kazako espulse illegalmente, tanto meno deve cadere per uno scontro fra centrodestra e la magistratura. E comunque, Napolitano farà di tutto per evitarlo.
Questo non significa che lo sfondo adesso sia destinato a rasserenarsi. Oggettivamente, l’eco delle vicende giudiziarie milanesi e quella della chiusura dell’inchiesta di Bari che prelude a un rinvio a giudizio di Berlusconi, non aiutano Letta. Ridanno corpo a una corsa a ostacoli che rappresenta la normalità di un esecutivo nato nell’emergenza e obbligato ad avanzare in una bolla di precarietà. La protezione del Quirinale gli garantisce una sponda istituzionale e internazionale solida. Ma a sconsigliare strappi e forzature è soprattutto la sensazione diffusa che l’Italia non se li possa permettere, benché di volta in volta ci sia chi finge di dimenticarlo. In fondo, la maggioranza anomala fra Pd, Pdl e montiani somiglia sempre di più all’involucro politico anomalo che racchiude un esecutivo con obiettivi obbligati, quasi «tecnici»; e con un percorso che ha come traguardo minimo le elezioni europee del 2014 e il semestre di presidenza italiana dell’Ue.
Un inasprimento delle tensioni fra politica e magistratura accentua rapporti di governo già parzialmente logorati, se non compromessi. Tuttavia, la domanda da porsi è se un dopo-Letta significherebbe maggioranze diverse e migliori, oppure un’altra situazione eccezionale, se possibile più complicata e precaria: consegnando al capriccio ostile dei mercati finanziari il compito di dettare l’agenda e i tempi non di una ripresa economica dell’Italia, ma del suo declino.

Massimo Franco

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