by Sergio Segio | 19 Luglio 2013 6:49
ROMA — Proprio perché lascia la domanda cruciale in sospeso, il messaggio di Giorgio Napolitano ha un tono, più che allusivo, minaccioso. Questo: nessuno scherzi col fuoco, nessuno si lasci contagiare da quell’insana euforia da cupio dissolvi che sembra dilagare nel mondo politico, nessuno si illuda su qualche improbabile piano B nel caso che Enrico Letta sia spodestato da Palazzo Chigi, altrimenti… Già, altrimenti potrebbe accadere di tutto. Potrebbe anche succedere, cioè, che si richiuda «la finestra per tempi eccezionali» che si era aperta con la sua rielezione, spingendo il capo dello Stato alla più drastica delle opzioni: quella di dimettersi.
È questa la carta coperta che il presidente della Repubblica ha ieri ricordato di avere in mano nel momento in cui, senza ovviamente precisare le proprie potenziali mosse, ha ventilato il rischio di scenari irreversibili qualora l’esecutivo dovesse cadere? Nessuno è in grado di scommetterci sopra, ma l’ipotesi non pare affatto inverosimile. Basta riconsiderare alcune sue frasi vecchie e nuove. Da quelle, più allusive che amletiche, pronunciate il 22 aprile, nel discorso d’insediamento davanti alle Camere riunite, quando lasciò intendere — ed era il patto non scritto in base al quale aveva accettato il secondo mandato — che non esistono alternative alle larghe intese e alla stabilità di governo. Ad altre più recenti, nelle quali ha avvertito che «in caso di sordità ne trarrò le conseguenze».
Certo, osservando lo scenario generale, Napolitano dà anch’egli per scontato che «in questo momento le forze d’opposizione tendano a far franare un equilibrio politico e di governo che si giudica spurio prima ancora che inadeguato». Tuttavia non può fare a meno di chiedersi: «Per spingere il Paese, e le sue istituzioni rappresentative, verso quale sbocco?». Ammette, suggerendo lui stesso un doppio (o triplo) livello di lettura per le proprie parole proiettate su un futuro in cui si giocasse allo sfascio, che «tutti i propositi alternativi, anche se appaiono velleitari, possono essere legittimi». Ma aggiunge, sibillino a metà: «Inviterei coloro che lavorano su ipotesi più o meno fumose o arbitrarie, a non contare su decisioni che, quando si fosse creato un vuoto politico, spetterebbero al presidente della Repubblica e che io non starò certo ad anticipare».
Il suo, insomma, è un altolà ai tatticismi e agli avventurismi di chi magari confida, una volta logorata e fatta fallire l’esperienza di Enrico Letta, nella riedizione di un governo di scopo, retto su maggioranze chissà come variabili. Una chimera fondata ad esempio su antiche formule di sfiducia costruttiva o su altre variabili del genere. Un esito che, dopo quanto Napolitano ha voluto far sapere adesso, non è affatto scontato. «Sono stato chiaro?», ha chiesto con un enigmatico sorriso ai cronisti, prima di congedarsi. «Chiaro? Mica tanto, presidente…». E così è toccato a un suo fidato consigliere suggerire una rilettura rivelatrice dell’archivio, per capirci finalmente qualcosa.
Marzio Breda
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