«Alfano informato delle richieste kazake, non dell’espulsione»
ROMA — «Il ministro è stato informato della richiesta del governo kazako in merito al latitante, non è stato informato di tutto», dice il capo della polizia Alessandro Pansa al termine della sua audizione in Parlamento. E così conferma la versione del capo di Gabinetto Giuseppe Procaccini che dopo aver dato le dimissioni aveva spiegato: «Riferii al ministro il contenuto del colloquio con l’ambasciatore kazako circa la richiesta di arrestare un ricercato kazako. Delle due donne non sapevo nulla». Dunque non è vero quanto affermato sino ad ora dal titolare del Viminale Angelino Alfano che ha sempre detto di essere venuto a conoscenza della vicenda «perché avvertito dal ministro degli Esteri Emma Bonino quando la signora Alma Shalabayeva era ormai stata rimpatriata» e due giorni fa, in Parlamento ha ribadito: «Fui tenuto all’oscuro».
In un Viminale ormai dilaniato dagli scontri interni e dalle polemiche, alla vigilia del voto sulla mozione di sfiducia che sta facendo fibrillare l’intero governo, la ricostruzione ufficiale continua a mostrare i suoi punti oscuri. E la storia appare tutt’altro che chiarita. Anche perché è proprio Pansa a dover ammettere come non sia stata affatto gestita «l’invasività» dei diplomatici kazaki aprendo così un nuovo e inquietante mistero. Sinora si era infatti saputo che i diplomatici erano stati prima al Viminale e poi in Questura. La relazione di Pansa fornisce invece una diversa ricostruzione: l’ambasciatore kazako Andrian Yelemessov andò prima in Questura e poi al Viminale. Chi li indirizzò verso San Vitale?
La «presenza anomala»
negli uffici di polizia
L’audizione del prefetto di fronte alla commissione per i diritti umani del Senato guidata da Luigi Manconi, comincia alle 14. Pansa ripercorre ancora una volta quanto accaduto tra il 28 e il 31 maggio scorsi. Risponde alle domande dei parlamentari, poi aggiunge dettagli rispetto a quanto scritto nella relazione che Alfano aveva letto alle Camere il giorno prima. E sulle visite dall’ambasciatore alla Questura di Roma e negli uffici del Viminale afferma: «Per tutti i tre giorni, nell’arco di tutta l’attività svolta, c’è stata una presenza massiccia e prolungata negli uffici di polizia di autorità kazake, e questo era il difetto per cui la vicenda non è stata gestita correttamente. Ho stigmatizzato questi comportamenti, sono una disfunzione del sistema, addebitabile a una superficialità nella gestione della vicenda».
In realtà, era stato proprio Alfano a chiedere a Procaccini di incontrare il diplomatico di Astana. «Mi disse che era una cosa delicata», ha spiegato il prefetto. Il colloquio avviene la sera del 28 maggio, dopo che in mattinata il diplomatico aveva incontrato il capo della squadra mobile Renato Cortese. Chi gli aveva suggerito di seguire questa trafila? Chi gli aveva consigliato di rivolgersi direttamente agli investigatori per ottenere l’arresto di Mukhtar Ablyazov? Ma soprattutto, come faceva il ministro a sapere che si trattava di «cosa delicata» se non aveva avuto alcun contatto e aveva fatto sapere di non poter ricevere Yelemessov dirottandolo verso il suo capo di Gabinetto?
Il «rapporto» al ministro
dopo l’incontro
Effettivamente l’ambasciatore la sera del 28 maggio viene ricevuto al Viminale. Con lui c’è anche un consigliere. Si parla del blitz imminente, Procaccini gli spiega che lo affiderà al Dipartimento di pubblica sicurezza e in particolare al responsabile della segreteria del capo della polizia, il prefetto Alessandro Valeri. In realtà la polizia è già pronta a intervenire visto che l’irruzione scatta nella notte, appena qualche ora dopo. Finisce come ormai si sa e come tutti al Viminale sanno: Ablyazov non è stato trovato, sua moglie e sua figlia sono state rimpatriate. «Non sapevo nulla», assicura Alfano al termine della riunione di governo che definisce «irregolare» la procedura di espulsione e revoca il provvedimento. Lo ripete svariate volte, lo scandisce in Parlamento. Dice di non aver mai avuto notizie della vicenda fino al colloquio con il ministro Bonino.
Il primo a fornire una diversa versione è Procaccini. E ieri anche Pansa è costretto ad ammettere che almeno una parte della storia il titolare del Viminale la conosceva. Possibile che al momento del colloquio con la titolare della Farnesina, Alfano non abbia messo in relazione le due vicende? Quando Bonino gli parlò di una signora kazaka e della sua bambina caricate su un jet privato e consegnate alle autorità di Astana, non si ricordò della richiesta di appuntamento arrivata appena tre giorni prima dall’ambasciatore e del «resoconto verbale» fatto da Procaccini? Interrogativi che ancora segnato la versione ufficiale e certamente si riproporranno durante il dibattito in Parlamento sulla sfiducia. Domande che nei corridoi del Viminale fanno salire ulteriormente la tensione. Perché la scelta di scaricare le responsabilità su Procaccini e sui vertici della polizia viene vissuta come una «mancanza grave» da parte dell’autorità politica e certamente rende più difficile la gestione di un ministero già molto difficile da governare.
Fiorenza Sarzanini
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