Renzi attacca e si lamenta «Palazzo Chigi deve chiarire»

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ROMA — La parte più leggera è quella in cui scrive che al solo pensare «a quella bambina», e cioè alla figlia di Alma Shalabayeva, «mi vengono i brividi». Sulle parti più pesanti, invece, c’è solo l’imbarazzo della scelta. A cominciare dall’inizio del capitolo dedicato al «dossier Kazakistan» che Matteo Renzi infila nella enews pubblicata ieri. «La Repubblica Italiana ha consentito che la moglie di un dissidente, insieme alla figlioletta di sei anni, fosse rimpatriata in un blitz compiuto da forze speciali di massima sicurezza». Per il resto, quello del sindaco di Firenze è un affondo senza freni.

Ad Alfano e Letta «spetta la responsabilità di illustrare i fatti», «sono certo che il nostro presidente del Consiglio non mancherà di parlare chiaramente», «posso solo sperare che non paghino solo le forze dell’ordine». E ancora, sempre dalla penna renziana, «da cittadino sono umiliato dall’atteggiamento che larga parte della classe dirigente del Pdl e Pd ha avuto, cercando di usare questa vicenda per attaccare me», manco «fossi il maggiordomo di un romanzo giallo». E lo fanno – è il punto di caduta del j’accuse – perché il Pdl, «miracolato dal capolavoro di Bersani», preferisce «stare al governo delle larghe intese invece che all’opposizione». Mentre nel Pd «giocano la partita congressuale» e puntano «a mantenere una poltrona». Morale della favola? Per Renzi, se la storia in cui «una bambina di sei anni viene prelevata da quaranta agenti» diventa «una vicenda per regolare i conti tra le correnti del Pd», allora «mi vergogno per il Pd».

Quando la enews renziana viaggia sul sito del sindaco e arriva alle orecchie di Letta a Londra, di colpo la dichiarazione con cui il premier aveva garantito che «con Renzi nessun problema» invecchia come se fosse stata pronunciata da due anni, non da due ore. E a poco vale l’annotazione in cui il sindaco certifica che «se cade Letta non si vota». I due sono irrimediabilmente su due lati opposti della barricata.

Un ostacolo non di poco conto per Epifani. Il segretario non ha solo Renzi da tenere d’occhio. Sulla «questione Alfano» mezzo partito è in rivolta. Persino i bersaniani, che difendono il governo ma certificano con Davide Zoggia l’esistenza di «ombre sul ministro dell’Interno», sul vicepremier non la pensano in maniera troppo dissimile dal «nemico» Renzi, che di fatto ne chiede le dimissioni. E lo stesso dicasi di Rosy Bindi e Anna Finocchiaro, che invocano «un passo indietro di Alfano» al pari di Gianni Cuperlo, Goffredo Bettini, Felice Casson e del gruppo di senatori (moltissimi renziani) che chiede apertamente la restituzione delle deleghe.

«Noi non possiamo fare la parte di quelli che si bevono la versione di Alfano alla stregua di “Ruby nipote di Mubarak”», si sente dire Epifani durante la riunione della segreteria. «Neanche a me va bene la versione di Alfano. Però Letta l’ha difeso e votargli contro sarebbe come sfiduciare il governo», è la replica del segretario.

Ma c’è di più. Di fronte agli smarcamenti di Renzi, il bersaniano Alfredo D’Attorre ha chiesto che si convochi una direzione del partito per «ripronunciarci tutti sul sostegno al governo Letta». «E che si faccia alla presenza di Letta stesso», è stata la regola d’ingaggio di Bersani ai suoi. La proposta è stata accolta a maggioranza. Infatti il segretario del Pd ha immediatamente contattato il premier. Con un messaggio chiaro: «Enrico, noi ti seguiamo ma la faccia non devi mettercela solo al Senato. Ma anche davanti al tuo partito».

Tommaso Labate


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