La frenata cinese non spaventa più

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Sembra cioè che i mercati finanziari si stiano già abituando al nuovo regime che prevede una crescita cinese più lenta. Forse perché una Cina con la marcia ridotta vuole anche dire minori squilibri nell’economia mondiale. Vuol dire ad esempio una domanda di petrolio sui mercati mondiali in calo a 29,5 milioni di barili al giorno nel 2013 e prevista in ulteriore rallentamento nel 2014. Una domanda di petrolio al palo potrebbe implicare prezzi del greggio stabilmente bassi e quindi una spinta a crescere per tutti.
Forse però i mercati la fanno troppo facile. Il rallentamento cinese potrebbe diventare un tracollo. E non solo per la stretta creditizia difficile da valutare data la scarsità di statistiche sul reale stato del sistema bancario cinese. Il vero problema per la Cina potrebbe venire dai cambiamenti nei modelli di consumo e dalla conseguente reindustrializzazione in atto nell’economia americana. La digitalizzazione rende infatti obsoleti i vantaggi della produzione di massa garantita finora dal manifatturiero cinese. Le produzioni a basso costo di ieri erano su commesse provenienti da un Occidente che voleva continuare a consumare risparmiando sui costi. Invece, l’Occidente di oggi cresce poco e pratica senza tante chiacchiere la decrescita felice: richiede minori volumi, ma migliori. Chiede cioè qualità non quantità. E malgrado l’innovazione e il trasferimento di tecnologia occidentale, l’industria in Cina non è ancora pronta ad offrire la qualità richiesta dai consumatori occidentali (e dagli ancora pochi nuovi ricchi cinesi). Da qui viene il ritorno alla reindustrializzazione americana, guidata dagli aiuti e dalla mano visibile dell’amministrazione Obama, ma soprattutto dai milioni di clic del mouse e dall’e-commerce dei consumatori americani.
A seguire, a causa della reindustrializzazione dell’America non sarà solo la crescita cinese a pagare pegno ma anche quella degli altri emergenti. Da tempo infatti anche la crescita di Brasile, Russia e India non è più quella che è stata. La presidente brasiliana, Dilma Rousseff, malgrado i Mondiali di calcio e le Olimpiadi in arrivo, non riesce a spingere la crescita brasiliana sopra il 3 per cento. Il russo Putin fa scrivere un ottimistico +5 per cento nelle sue previsioni, ma la vera crescita 2013 sarà più vicina al 2 che al 5 per cento. E la crescita indiana è da tempo in stallo ben al di sotto dei tassi quasi cinesi dei primi anni duemila, attanagliata dalla difficoltà di far viaggiare a passo veloce un’economia piena di vincoli burocratici.
In mezzo sta l’Europa indecisa a tutto: sull’unione bancaria, sulle cessioni di sovranità necessarie per andare verso un bilancio europeo e anche sulla ricerca dello shale gas, vietato in Francia e visto come occasione di sviluppo nell’Europa centro-orientale. Le divisioni e l’indecisione di oggi vengono dal passato. Dall’Europa a due velocità degli ultimi tre anni, con la Germania, l’est e il nord che guardavano dalla finestra la crisi senza fine dei paesi del sud Europa. Ma ora l’aggravarsi della crisi del sud Europa sta trasformando l’intero continente in una zona con una sola velocità: una velocità che si avvicina pericolosamente al sotto zero un pò ovunque. Da qui possono e devono ripartire i governi europei. Prendere il treno della reindustrializzazione non è impossibile ma il tempo stringe.


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