by Sergio Segio | 16 Luglio 2013 8:14
NEW YORK — Riavrà una pistola e anzi, se vuole, proprio quella pistola: la stessa con la quale ha ucciso Trayvon Martin. Il dettaglio a corollario dell’assoluzione della “guardia volontaria” George Zimmerman per l’omicidio di un ragazzo di colore di 17 anni, e disarmato, è arrivato ieri in un Paese ancora diviso sulla sentenza, con manifestazioni in molte città e Times Square a New York occupata da chi protestava contro il verdetto, mentre la Casa Bianca ribadiva come bisognerà «fare di tutto perché tragedie di questo tipo non accadano mai più», mentre il Dipartimento della giustizia spiegava che il caso sarà riesaminato a livello federale.
George Zimmerman ha tutto il diritto di chiedere la restituzione della Kel Tec calibro 9 che ha usato la sera del 26 febbraio del 2012 contro Trayvon: lo spiega il suo avvocato, Mark O’Mara, precisando: «Ne ha più bisogno di prima, c’è un sacco di gente la fuori che lo odia, anche se non dovrebbe». Le centinaia di migliaia di manifestanti che ieri continuavano a traversare Los Angeles, San Francisco, Atlanta, Philadelphia, Chicago, Oakland, il centro di New York, erano uniti dallo slogan «No justice, no peace» — niente giustizia, niente pace — lo stesso delle rivolte del ‘92 a Los Angeles, scatenate dall’uccisione di un nero da parte della polizia. Ma alla protesta nelle strade, sfociata a Los Angeles e New York in incidenti e arresti, si affiancavano le riflessioni amare della stampa, con un Washington Post che titolava “Il sistema giudiziario ha funzionato, la giustizia meno”, e il
New York Times che evocava il “vecchio Sud”, mentre la Casa Bianca si esprimeva di nuovo. Dopo l’intervento a caldo di Obama, che già domenica aveva invocato la calma e la riflessione ribadendo che quella morte «è stata una tragedia» e bisognerà fare in modo che non accada più, ieri il portavoce Jay Carney spiegava che l’avvio di un’eventuale azione federale contro Zimmerman non dipende dal presidente.
La decisione spetta invece al segretario alla Giustizia Eric Holder, che ha a sua volta parlato di «tragedia che si poteva evitare» e ieri ha confermato che il Dipartimento è già al lavoro sugli atti del processo per valutare l’esistenza di un movente legato alla razza nell’uccisione di Trayvon Martin e controllare la correttezza dei meccanismi che hanno portato alla composizione di una giuria fatta tutta di donne bianche. Intanto una di quelle sei donne, la giurata B-37, ha fatto sapere tramite l’agente letteraria Sharlene Martin che su questo processo vuole scrivere un libro, per spiegare come le attuali leggi della Florida rendessero impossibile una condanna e «aprire un dialogo sulla loro modernizzazione ». In Florida come in molti altri Stati americani, vigono leggi che permettono l’uso della forza per difendersi in caso si ritenga di essere minacciati.
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