Così spiano i nostri desideri al supermarket

by Sergio Segio | 16 Luglio 2013 7:59

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NEW YORK. Perdete ogni speranza, voi che entrate: in un negozio, supermercato o shopping mall. Varcata la soglia, la privacy è perduta. Nuove tecnologie sempre più sofisticate permettono di spiarci. Riconoscono e scompongono perfino la nostra dinamica espressiva, gli stati d’animo che traspaiono dal volto e dagli sguardi. Ci pedinano, registrano i minuti passati in ogni reparto. Saccheggiano il nostro telefonino per ricostruire le ricerche che abbiamo fatto su Internet. E alla fine ci catturano col messaggio di marketing fatto su misura per noi. Tutto questo è già abbastanza noto — almeno ai consumatori più smaliziati — quando avviene su Internet. Che Amazon, Apple e Google stiano spiando ogni mia incursione su Internet, non è più una novità. Ma adesso si stanno adeguando i colossi della grande distribuzione tradizionale, quelli che esistono “in carne ed ossa”, con negozi su strada. E almeno a giudicare dalle prime reazioni dei consumatori americani, le resistenze non mancano. Pur avendo già detto addio alla propria riservatezza quando sono su Internet, i clienti Usa non accettano di buon grado l’idea di essere sotto una vigilanza intrusiva anche quando varcano la soglia di un grande magazzino. È quasi la «sindrome Edward Snowden» (il giovane informatico che ha rivelato lo spionaggio della National Secutiry Agency), quella che scatta se a spiarti è il tuo governo, o un negozio di abbigliamento, invece dei “soliti noti” come Google, Facebook, Microsoft e Amazon. Il New York Times ha rivelato una lista di big della distribuzione — vi figura anche l’italiano Benetton insieme a catene Usa come Nordstrom, Family Dollar, Warby Parker — che stanno sperimentando in vari modi queste nuove tecnologie. Segue un’altra lista, di aziende hi-tech che forniscono la strumentazione sofisticata per spiarci: la Euclid Analytics di Palo Alto nella Silicon Valley, la Cisco anch’essa californiana, la Nomi di New York o la Brickstream di Atlanta, ma anche società inglesi come la Realeyes, russe come Synqera. È una gara a chi mette a punto le tecnologie più raffinate per leggerci nel pensiero. Le stesse videocamere, che per molti di noi sono un oggetto familiare nei negozi perché da tempo usate come anti-furto, stanno assumendo funzioni molto più complesse. Una società come Realeyes (che vuol dire “occhi veri”) installa nei negozi delle telecamere con funzioni di “facial recognition”, più perfezionate di quelle che analizzano le nostre pupille all’arrivo negli aeroporti americani. La tecnologia di ricognizione facciale studia le nostre reazioni e decompone le nostre emozioni, di fronte a ogni reparto, a ogni vetrina espositiva; queste informazioni vengono immagazzinate e digerite in tempo reale per lanciarci delle offerte su misura, ad personam. La tecnologia Nomi fa un passo oltre, e varca una frontiera ulteriore nell’invadere la nostra riservatezza: basta usare la connessione Wi-Fi del negozio (magari inconsapevolmente, se ho uno smartphone abilitato), o basta fornire il proprio indirizzo email (molti esercizi commerciali ce lo chiedono alla cassa) ed ecco che le nostre email o le nostre navigazioni diventano “territorio di caccia” per saccheggiare indicazioni sui gusti e mandarci offerte ad hoc.
Il presidente di Nomi, Corey Capasso, si difende dalle accuse in questo modo: «Entro nel grande magazzino Macy’s, ed ecco che Mayc’s è in grado di darmi un consiglio personalizzato attraverso il mio telefonino. Non fa altro che trasportare dentro il negozio l’esperienza di Amazon». Verissimo, su Amazon come in altri siti del commercio online ogni nostro gesto è spiato e serve a costruire il profilo di consumatore. L’utente di Internet lo dà quasi per scontato. Eppure ha ancora la sensazione di navigare online in una sorta di anonimato, magari per il semplice fatto (illusorio) di nascondersi dietro pseudonimi e indirizzi email che non riproducono il proprio nome. Entrando in un negozio “fisico”, con muri e vetrine, ancora ci aspettiamo un trattamento più rispettoso. Nordstrom ne ha fatto le spese: ha deciso di concludere uno di questi esperimenti di spionaggio ravvicinato, dopo che i clienti
(una volta avvertiti) hanno inviato commenti negativi su Facebook. «Siete andati ben oltre ogni limite », aveva scritto una consumatrice indignata. Altri hanno superato la resistenza, monetizzandola. La società Placed di Seattle fornisce alle catene della distribuzione un dispositivo che propone al cliente un “patto”: tu mi dici in quale reparto del grande magazzino ti trovi in questo istante, in cambio ti regalo dei buoni-spesa di Amazon e Google Play. In 500.000 hanno detto sì. Se soltanto la National Security Agency ci proponesse un compenso, prima di intercettare telefonate e mail…

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