by Sergio Segio | 16 Luglio 2013 7:09
Alzare i decibel per provocare una sequenza di shock, conquistando così un’attenzione altrimenti appannata. E fare tutto questo cinicamente, a costo di sfidare con slogan razzisti il senso comune dell’Italia che resta ancora lucida e pensante (e c’è da sperare sia ancora la stragrande maggioranza). È successo anche ieri, con l’attacco al presidente della Repubblica di un esponente di punta della Lega. Il capo dello Stato si era detto «indignato» per «l’imbarbarimento della vita civile» provocato dagli insulti di Roberto Calderoli al ministro Cécile Kyenge, paragonata a «un orango»? Ecco che il segretario lombardo Matteo Salvini rincara la dose e lancia un viscerale post su Facebook: «Ma Napolitano si indignò quando la Fornero, col voto di Pd e Pdl, rovinò milioni di pensionati e lavoratori? Io mi indigno con chi si indigna… Napolitano, taci che è meglio». Un’intimazione molto pesante. Spazzatura. Alla quale sul Colle si è deciso di non reagire per non entrare in un battibecco infinito, e di bassissimo livello, con deprecazioni e censure che, per quanto sacrosante, aizzerebbero solo una rincorsa di repliche incarognite. Per il momento dunque si tace. Per non far entrare le istituzioni nella bagarre. Per lasciare che la politica faccia il suo corso senza interferenze, rispetto alla richiesta di dimissioni del vicepresidente del Senato Calderoli. E per rispetto degli stessi italiani, anche perché si confida che non abbiano dimenticato la campagna per il lavoro che è stata uno dei segni distintivi della presidenza Napolitano. Silenzio e no comment pure per la perfida mezza rettifica indirizzata alla Kyenge dal colonnello (e padre del Porcellum) leghista, e per le tardive e strumentali scuse di Salvini, che hanno meritato soltanto una gelida «presa d’atto» del Quirinale. Dove, mentre infuria la bufera, ci si dedica a cose più serie: incontri con il governatore di Bankitalia, Visco, e con il ragioniere generale dello Stato, Franco, per monitorare l’economia. Insomma: una giornata d’inferno, per di più contrassegnata da performance imitative di analogo o peggior tenore. Ad esempio l’incresciosa sortita di un assessore leghista del Veneto (che ha definito «vittima l’orango») e i cappi anti-immigrazione appesi da Forza Nuova a Pescara. Code velenose e squalificanti per il Paese, e infatti la notizia di queste provocazioni campeggia su siti e tv di tutt’Europa. Così, ci ha pensato Enrico Letta a tentare di imporre un ultimatum, a protezione del capo dello Stato, che ha apprezzato la mossa. «Non ci provino nemmeno» a trascinarlo in una faccenda del genere… «non è possibile che la vicenda continui così… Maroni chiuda questa pagina rapidamente». Ecco la richiesta di Palazzo Chigi. Sostanzialmente inevasa.
Marzio Breda
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