La ministra: adesso basta Lasci il posto a chi è capace

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MILANO — «Bongo bongo, tornatene in Africa, ma da che ramo è scesa?». Tre mesi di insulti e Cécile Kyenge fino a oggi ha glissato, «non raccolgo, continuo per la mia strada, ognuno risponde delle proprie opinioni». Poi a paragonarla a un «orango» è arrivato, l’altro ieri, il vicepresidente del Senato, Roberto Calderoli, e pur mantenendo il consueto aplomb, la ministra dell’Integrazione (preferisce il femminile), ha deciso di replicare. «Non mi rivolgo alla persona, ma alla carica istituzionale che ricopre, per invitarlo a fare una riflessione profonda. Da queste sedie rappresentiamo l’Italia, parliamo a nome dei cittadini. E le parole hanno un peso».

Si sente ferita?

«Non voglio andare sul personale. Certo, mi sono svegliata con l’idea di passare una bella domenica, e invece… Il punto è che dobbiamo correggere il linguaggio politico. Sono disponibile al confronto, ma che si basi sui contenuti e non sulle offese. È arrivato il momento di dire basta».

Il senatore Calderoli dovrebbe dimettersi?

«Preferisco non esprimermi. Dico, però, che, se non è in grado di tradurre un disagio in un linguaggio anche duro, ma corretto, bisogna forse dare il suo incarico a chi è capace di farlo».

Calderoli le ha chiesto scusa, ma è tornato a dire che la vedrebbe meglio come ministro in Congo…

«Accetto le scuse. Per il resto sono disponibile a rispondere a tutte le domande che si vogliano rivolgere alla ministra italiana dell’Integrazione. Se ci sono questioni che riguardano il Congo, Calderoli può porle agli esponenti di quel governo, e se non dovessero essere raggiungibili, ci sono l’ambasciata, i consolati…».

L’insulto dell’«orango» ha già varcato i confini. La preoccupa questa immagine dell’Italia razzista?

«È uno dei motivi per cui insisto che bisogna correggere il linguaggio: offese come questa risultano raddoppiate, triplicate. Diventano articoli sulla stampa estera, e sono tutti messaggi negativi per l’immagine dell’Italia».

Le frasi leghiste o gli attacchi di Forza nuova sono gli episodi visibili, eclatanti. Lei, però, è il ministro più scortato del governo: riceve molte minacce che non vediamo, che non sono pubbliche?

«Quotidianamente, con ogni mezzo. Lettere, email, telefonate. Le più terribili sono online, anche minacce di morte. Non c’è ancora una legge, e invece servirebbe. L’istigazione al razzismo sta diventando man mano istigazione alla violenza. Vale per tutti, penso agli attacchi che riceve la comunità ebraica. Dobbiamo lavorarci».

Minacce anche fisiche?

«Sì, è successo. L’ultimo episodio l’altro giorno, ero a Cattolica e partecipavo a una cerimonia privata. All’ingresso principale c’era qualcuno che mi minacciava e mi aspettava, sono stata costretta dalle forze dell’ordine a uscire da un’altra parte…».

Ed è accaduto spesso?

«Abbastanza, devo stare sempre in allerta. Anche perché ovunque vado trovo mobilitazioni contro di me. Per fortuna sono sempre di più le persone che mi sono vicine, che mi manifestano la loro solidarietà».

Che idea si è fatta delle ragioni di questa ostilità?

«Mi sono accorta innanzitutto che il primo obiettivo sono le donne. Al di là della provenienza politica. È un problema su cui andrebbe fatto un percorso. Ci tengo molto a cogliere questa occasione per esprimere la mia solidarietà all’onorevole Mara Carfagna, per le offese e le minacce ricevute sul web».

Il secondo obiettivo?

«La diversità. La pelle nera come la mia attira maggiormente l’attenzione. Penso a Mario Balotelli. Ma vale per tutte le diversità. Ho visto una reazione fortissima contro i cinesi nella zona di Prato, per esempio. Qualcuno fa fatica ad accettare che il Paese è cambiato. E penso che, proprio per questo, avrebbe bisogno di altri messaggi, di un altro tipo di comunicazione».

Quando ha assunto l’incarico, ha usato la parola «termometro»: la prima ministra nera nella storia del Paese serve anche a misurarne la febbre. Il malato è grave?

«Diciamo che la temperatura è un po’ calda… Gli ultimi episodi sono stati un po’ troppo spinti. Bisogna stare attenti a non farla salire, ma lavorare per raffreddarla».

È il motivo per cui continua a ripetere che «l’Italia non è razzista»?

«Lo ripeto perché è vero. Da tre mesi giro il Paese, non per valorizzare i migranti, ma per tirar fuori l’accoglienza che già c’è. In tutti i territori che visito, non ci sono solo stranieri a ricevermi, ma comunità intere, anziani, tantissimi bambini, che vogliono toccarmi, farsi fotografare con me. “Ministra lei è mia sorella”, mi ha detto l’altro giorno una bambina di sei anni di origine sudamericana. Assisto a tante belle iniziative. Partite di basket in cui disabili e non giocano alla pari, cerimonie per la cittadinanza onoraria… Quella che stiamo facendo è una campagna di sensibilizzazione e di educazione: chi ricopre una carica istituzionale dovrebbe usare la propria visibilità in questo modo».

Che cosa può dire di aver conseguito concretamente in questi primi tre mesi di governo?

«Il primo obiettivo raggiunto è che si parla di nuova cittadinanza in ogni angolo del Paese. Voglio attirare l’attenzione anche sugli italiani all’estero, lavorare insieme a loro per valorizzare la nostra immagine. Non è una questione che riguarda solo i migranti: è un’esigenza concreta di tutta la società. È il momento di fermarsi e riflettere insieme sull’Italia di domani».

Alessandra Coppola


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