Vertici al Viminale e relazioni sul tavolo ecco perché gli uomini del ministro sapevano

by Sergio Segio | 14 Luglio 2013 10:04

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DAVVERO il ministro dell’Interno Angelino Alfano nulla ha saputo del destino di Alma Shalabayeva e della figlia Alua se non a cose fatte? È credibile che l’autorità politica sia stata tagliata fuori dai tecnici che maneggiarono la vicenda tra il 28 e il 31 maggio?

DOPO l’inchiesta pubblicata ieri, “Repubblica” è tornata a sollecitare fonti ministeriali, di polizia e legali. E il proscenio dell’affaire si popola di nuove figure e dettagli cruciali, utili a comprendere come, in attesa delle conclusioni dell’indagine interna del Capo della Polizia Alessandro Pansa, il tentativo di trovare un capro espiatorio, di far volare qualche straccio sarà strada tutt’altro che agevole.
IL GABINETTO DI ALFANO SAPEVA
Bisogna tornare al 28 maggio. Sappiamo già che quel giorno l’ambasciatore kazako Andrian Yelemessov e il suo primo consigliere visitano la Questura e il Viminale per sollecitare la cattura di Mukhtar Ablyazov, dissidente che i due diplomatici pittano come spregiudicato malfattore, per giunta legato al terrorismo internazionale. Ma, scopriamo ora, la visita al Viminale non è in un ufficio qualunque. A ricevere i diplomatici è infatti il prefetto Giuseppe Procaccini, capo di gabinetto del Ministro dell’Interno. L’oggetto della riunione è la cattura di Ablyazov e Procaccini si assicura che alla compagnia si aggreghi anche il prefetto Alessandro Valeri, capo della segreteria del Dipartimento della Pubblica Sicurezza, l’ufficio al cui vertice siede il capo della Polizia (in quei giorni, Pansa non è ancora insediato). La riunione — per quanto ne riferiscono tre diverse fonti qualificate — non va per le lunghe. Di fatto, Procaccini sollecita Valeri a fare in modo che quanto i kazaki chiedono con insistente petulanza venga fatto. Rapidamente. Che insomma quel Mukhtar venga arrestato se è vero, come dicono i due diplomatici mostrando prove raccolte dall’agenzia di investigazione privata Syra, che, tre giorni prima, l’uomo era certamente a Casal Palocco.
Ora, perché Procaccini riceve i kazaki? Lo fa di sua iniziativa? È stato incaricato dal ministro? Riferisce ad Alfano quale è stata la loro richiesta e l’incarico dato al Dipartimento di pubblica sicurezza di risolverla celermente?
Procaccini non è di aiuto. «La prego di comprendere che la vicenda è oggetto di un’indagine interna — dice — e dunque non posso entrare nel merito». Certo, quella riunione del 28 c’è stata. Certo, non fu una sua iniziativa convocarla. Ma poi?
“IL PREFETTO TACQUE CON IL MINISTRO”
Più loquace è l’entourage di Alfano. Nel confermare quella riunione, il ministro dell’Interno ricorda semplicemente di aver girato al suo capo di gabinetto Procaccini l’incombenza di parlare con i due kazaki dopo che, insistentemente, lo avevano cercato al telefono nel corso della mattinata per ottenere un appuntamento “urgente”. Ma lo stesso Alfano nega di essere mai più tornato sulla questione con Procaccini. Non il 28 sera, non il 29, non il 31. Insomma, liberatosi degli scocciatori, Alfano — se è corretto quanto sostiene — avrebbe semplicemente rimosso la faccenda e Procaccini non gliene avrebbe più parlato (in questo caso, resterebbe da comprendere per quale misteriosa ragione un capo di gabinetto non dovrebbe riferire l’esito di una riunione con due diplomatici che è stato incaricato di ricevere proprio dal ministro). Almeno fino a quando, l’1 giugno o forse la sera stessa del 31 maggio (sul punto, l’entourage del ministro non è in grado di essere esatto), Alfano non riceve una telefonata.
LA TELEFONATA DELLA BONINO
A cercare Alfano è il ministro degli esteri Emma Bonino. È stata contatta dai legali dello studio Vassalli-Olivo, che hanno assistito Alma Shalabayeva, e vuole avere lumi su quello che le è stato prospettato come una grave violazione dei diritti umani. Il ministro dell’Interno — sempre a stare alla ricostruzione proposta dal suo entourage — trasecola. Ascolta la Bonino e le promette di infor marsi. A quanto pare, non parla della con il suo capo di gabinetto Procaccini, non gli sovviene il ricordo dell’insistenza con cui i kazaki lo avevano cercato solo tre giorni prima. Niente di niente, insomma. Più semplicemente, Alfano alza a sua volta il telefono e chiede all’appena insediato capo della polizia Alessandro Pansa di informarsi su quella donna e sua figlia.
IL DIPARTIMENTO PIENAMENTE COINVOLTO
Non è dato sapere quanto tempo impieghi Pansa a venire a capo della questione. Ma deve essere questione di minuti. Al Dipartimento di Pubblica Sicurezza anche i sassi sanno infatti che razza di mobilitazione è costata la richiesta kazaka. Dopo la riunione del 28 con Procaccini e i due diplomatici kazaki, il capo della segreteria del Dipartimento, il prefetto Alessandro Valeri, ha infatti messo rapidamente in moto la macchina che porta al blitz quella stessa notte. Ha chiesto al capo della Criminalpol e vicecapo della Polizia Francesco Cirillo di dare una svegliata all’Interpol (Mukhtar è ricercato con mandato di cattura internazionale) e ha eccitato il capo della squadra mobile di Roma Renato Cortese accreditando i due diplomatici e le loro farlocche informazioni sulla pericolosità del soggetto.
L’ATTENTATO FASULLO
Del resto, a tal punto la Questura di Roma è convinta di dover “evadere” una pratica che sta a gran cuore al Viminale, che, anche quando si tratterà di mettere su un aereo direttamente per Astana Alma e sua figlia, si decide di non contrariare i kazaki. I soliti due diplomatici arrivano infatti a sostenere che la donna non può essere espulsa su un aereo di linea con destinazione Mosca perché lì, all’aeroporto Sheremetevo, un gruppo terroristico legato a tale Poplov, di cui Mukhtar è accusato dal Regime di essere fiancheggiatore, sarebbero pronto a scatenare l’inferno.
LA PRIMA RELAZIONE INTERNA
Il 3 giugno, su richiesta di Pansa, la Questura di Roma e l’Ufficio stranieri inviano al Viminale le prime relazioni di servizio interne su quanto è accaduto. È un pro-forma, perché tutti sanno cosa è successo. Anche chi fa finta di non sapere. E infatti, nulla accade per un mese e mezzo. Fino a venerdì pomeriggio. Quando il governo decide di uscire dall’angolo facendo volare gli stracci. Quando Alfano scopre che quel che per 45 giorni gli era apparso “perfettamente rispettoso delle norme”, tale non è più. Che serve qualche testa.

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