L’America ai generali egiziani: rilasciate l’ex raìs Morsi

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IL CAIRO — Dovevano scendere in piazza tantissimi, ieri in Egitto. Ancora una volta due manifestazioni rivali, con la paura di scontri, l’esercito schierato in allerta in tutto il Paese. Ma è stata solo la Fratellanza a portare masse imponenti di gente ai suoi presidi, che insistono a chiedere il ritorno del raìs deposto con sempre meno speranze ma determinati a non cedere. I nemici di Mohammad Morsi hanno in gran parte ignorato l’appello dei partiti laici e dei Giovani Ribelli schierati con i militari. Hanno già vinto, lo sanno tutti.

«Morsi ci manchi, ma tornerai», scandivano gli slogan dei Fratelli orfani alla moschea di Rabaa Al Adawiya. Dalla mattina, pur a digiuno per il Ramadan, erano arrivati in migliaia dalle campagne, dai quartieri popolari, anche grazie alla potente organizzazione della Confraternita. Famiglie intere, tantissimi bambini e anziani, hanno pregato e ascoltato per ore discorsi e sermoni sotto il sole.

«È lui il raìs legittimo, Al Sisi è un traditore», diceva la gente mostrando cartelli in inglese, francese e tedesco sperando nell’attenzione dei media stranieri. Quelli della Fratellanza sono oscurati dal giorno in cui il generale Abdel Fattah Al Sisi, capo dei militari, ha preso il comando de facto, gli altri organi di informazione in Egitto sono tutti schierati con i vincitori. «Non cederemo e non accetteremo le false proposte di collaborazione nel nuovo governo che ora ci fanno i golpisti», dice Mohammad El Beltagy, uno dei leader della Fratellanza ricercati da giorni che vivono (lo sanno tutti) al presidio. La promessa di «inclusione di ogni forza politica» del nuovo premier Hazem El Beblawi, che ieri ha nominato come vice il progressista Ziad Bahaa El Din, si scontra con la tolleranza zero del nuovo regime verso i Fratelli. I militari non hanno fretta per eliminare l’ultima resistenza, per sgombrare i sit-in di Rabaa e di Giza e nelle altre città, e catturare i leader ricercati.

Aspettano che il Ramadan fiacchi gli animi, che i giornalisti stranieri partano. Ma «centinaia di noi sono in carcere in isolamento, vietate le visite, i pacchi di cibo, non sappiamo niente», denuncia il portavoce della Fratellanza Gehad Haddad. Anche Morsi è sparito, da giorni «è in un luogo sicuro»: ieri gli Usa per la prima volta hanno chiesto pubblicamente al Cairo di liberarlo, unendosi alla Germania. Ma la Fratellanza non crede più all’America: «Obama dice di difendere la libertà e la legalità ma pure lui ci ha tradito», dicono a Rabaa.

Neanche a Tahrir lo amano molto: su un poster con Al Sisi, Sadat e Nasser in alta uniforme con scritto «L’esercito è con il popolo», il presidente Usa compare nei panni di un neonato con pannolino che dice in dialetto egiziano «doveva andare così, pazienza». Come dire: gli Usa non hanno capito la volontà dell’Egitto, hanno sostenuto il raìs islamico e ora non si impiccino. In piazza c’è tanta gente, altri sono al palazzo presidenziale, ma in tutto sono decisamente meno dei loro rivali. Ai tavoli imbanditi da ricchi benefattori, tra belle signore che dal Suv scaricano pacchi di cibo per poi correre alle cene nei quartieri alti, a Tahrir il pasto che rompe il digiuno al tramonto si festeggia insieme alla vittoria di Al Sisi. «Un vero uomo — dice una donna avvolta in una bandiera — Paura che tornino i “felùl”, la gente del vecchio regime? Ma io sono una di loro, però amo la rivoluzione e i militari». La figlia velata scuote la testa: «Non mi piacciono i “felùl”, sto con i Giovani Ribelli, ma come la mamma odio i Fratelli musulmani». Contraddizioni dell’Egitto, o almeno della coalizione che ha vinto, e lo sanno ormai tutti, questa sofferta tappa nella sua Storia.

Cecilia Zecchinelli


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