La stabilità obbligata tra le frustrazioni dei partiti maggiori

by Sergio Segio | 11 Luglio 2013 6:34

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Per paradosso, fa più paura il declassamento del debito italiano da parte dell’agenzia statunitense Standard&Poor’s. Il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, non esita a definirlo destabilizzante. Ma lo scontro con la magistratura mette seriamente in tensione il Pdl. E fa emergere le frustrazioni del Pd, che ha accettato una sospensione dei lavori parlamentari di ventiquattr’ore per permettere al centrodestra di riunirsi. L’attacco concentrico contro il segretario Guglielmo Epifani, accusato di arrendevolezza da un inedito asse fra parlamentari renziani, Nichi Vendola, Antonio Di Pietro, rivela di nuovo la filiera degli avversari di Palazzo Chigi.

Per questo non si può dire che la situazione si sia calmata. Dal vicepremier Angelino Alfano all’ex presidente del Senato, Renato Schifani, arrivano parole di indignazione e di protesta. E i cosiddetti «falchi» si scagliano contro la magistratura a testa bassa: nonostante il presidente della Suprema Corte, Giorgio Santacroce, ieri abbia spiegato al Csm che non c’è «nessun accanimento» contro Berlusconi, trattato «come un qualsiasi imputato nell’imminenza della prescrizione»: messaggio difensivo ma anche distensivo. Nel Pdl c’è chi lo interpreta così. E infatti l’invettiva è bilanciata dalla prudenza. Schifani ammette che il partito vive «un momento estremamente difficile».

E ieri ha chiesto la sospensione dei lavori del Parlamento, assicurando l’appoggio al governo. Il grosso del partito non vuole una crisi: sa che sarebbe disastrosa, e che un responso negativo della Cassazione, il 30 luglio prossimo, non va dato per scontato. Basta registrare la virulenza con la quale Beppe Grillo invoca elezioni anticipate e raffigura un’Italia popolata da persone che vorrebbero prendere il fucile ma sarebbero trattenute da lui. Ieri il capo del Movimento 5 Stelle è stato ricevuto al Quirinale insieme al suo braccio destro Gianroberto Casaleggio e ai capigruppo. E alla fine, ne ha approfittato in conferenza stampa per attaccare governo, partiti della maggioranza e giornali. Ha sostenuto di aver chiesto a Napolitano «di andare in tv a reti unificate» a dire che «non c’è più tempo».

«Ho detto al presidente della Repubblica che si è preso una responsabilità immane», e che «poteva e doveva» rifiutare un secondo settennato. In realtà le opposizioni temono che la coalizione Pd-Pdl-montiani regga nonostante tutto. E sanno che Napolitano è il maggior garante istituzionale di una stabilità obbligata, per quanto fragile. Quando ieri i berlusconiani sono passati dalla minaccia di bloccare le Camere per tre giorni alla richiesta di fermarle almeno un giorno per i guai giudiziari dell’ex premier, si è capito che la tensione stava scendendo. Dal rischio di un cortocircuito si è passati ad un gesto di reciproca cortesia fra i gruppi parlamentari. Ma a quel punto si è scatenata la reazione. I parlamentari del M5S si sono tolti giacca e cravatta in Parlamento e hanno cominciato a inveire soprattutto contro il Pd.

I renziani hanno chiesto subito una riunione del gruppo del Pd, perché a loro avviso la decisione non era stata discussa. Dal Senato la contestazione si è propagata alla Camera, pescando fra i malumori dei Democratici. Lo smarcamento di Rosy Bindi è significativo; e così il modo in cui il capogruppo al Senato, Luigi Zanda, ha bersagliato il Pdl per smentire «le favole» grilline su un Pd a rimorchio di Berlusconi. Il risultato, però, è di accentuare la spaccatura interna fra la maggioranza di Epifani e la corrente di Matteo Renzi. Per quanto strumentale e legata al prossimo congresso, la polemica mostra non solo un Pdl diviso sul governo e spaventato dal futuro di Berlusconi, ma anche una sinistra a rischio di sbandamento. Di nuovo, Enrico Letta è condannato a navigare fra due lealtà dimezzate, con i mercati finanziari in attesa diffidente.

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