“Niente più figli di serie B” stop alle discriminazioni per chi è nato fuori dalle nozze

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ROMA — Mai più differenze tra chi è nato da genitori sposati e chi no: i figli saranno semplicemente figli. Non legittimi, non naturali. Figli e basta. Il Consiglio dei ministri discuterà nella prossima seduta il decreto legislativo che riforma il codice civile e il diritto di famiglia, equiparando i bambini di coppie sposate a quelli delle coppie di fatto e facendo piazza pulita di una vecchia e ormai anacronistica distinzione. Per la legge i figli saranno semplicemente figli, siano essi nati da genitori sposati o uniti in una coppia di fatto o da genitori che non sono quelli biologici: il decreto introduce, infatti, anche il principio dell’unicità dello stato di figlio anche per i bimbi adottati. Via dai codici tutte le diciture “naturali” e “legittimi” e le conseguenti differenze.
Tutti principi che erano già stati stabiliti con una legge delega durante la scorsa legislatura: toccava al governo, però, darne attuazione pratica. Detto, fatto: il decreto è pronto per essere approvato. La riforma prevede, ad esempio, che anche i figli nati fuori dal matrimonio possano accedere alla successione esattamente come quelli legittimi: via il “diritto di commutazione” che prevedeva la possibilità di liquidare i figli naturali. Lo stesso dicasi per gli altri parenti: non più solo i genitori, i bambini di coppie di fatto avranno gli stessi diritti, sia patrimoniali sia affettivi, anche nei confronti dei nonni e degli zii. Potranno partecipare alla divisione ereditaria e, soprattutto, avere rapporti familiari. Il che vuole dire che anche in caso di separazione dei genitori, gli altri parenti avranno diritto a vederli e, eventualmente, il dovere di assisterli nella crescita. Quanto alla separazione, i genitori di figli naturali prima dovevano rivolgersi al Tribunale dei minori (a differenza delle coppie sposate per le quali era competente il Tribunale civile). Via anche questa regola: il giudice sarà lo stesso per chi è sposato e chi no.
Non è tutto. Il decreto cancella la “potestà genitoriale” in favore della “responsabilità genitoriale” e introduce il limite di cinque anni
per il disconoscimento di paternità. Mamma e papà non potranno intraprendere questa strada dopo cinque anni dalla nascita. Lo scopo è quello di far prevalere, anche rispetto alla verità della filiazione, l’interesse del figlio. Cambiano anche le norme in materia di ascolto dei minori e, soprattutto, come già annunciato con la legge delega, viene assicurato il diritto della madre a mantenere il proprio cognome in quello del figlio: in pratica, se il riconoscimento paterno arriva qualche tempo dopo il parto, il bambino potrà usare entrambi i cognomi.
«È un passo importante che finalmente avvicina il legislatore all’evolversi della società e del sentire comune — dice la presidente della commissione Giustizia, Donatella Ferranti del Pd — La piena equiparazione tra figli legittimi e naturali, e quindi il riconoscimento di un unico status di figlio, è il frutto di un provvedimento approvato alla fine della scorsa legislatura che costituisce l’attuazione di un principio costituzionale e di civiltà giuridica. La legge conteneva, tra l’altro, una delega al governo finalizzata a realizzare l’equiparazione sotto tutti gli aspetti».


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