E il Fondo monetario: l’Europa crescerà meno

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ROMA — Più critiche che apprezzamenti. Agli economisti della Banca d’Italia il decreto sul lavoro proposto dal governo non piace. Perché non è abbastanza incisivo e soprattutto perché vanifica gli effetti positivi che la riforma Fornero stava cominciando a produrre.

«Vi è il rischio di indebolire l’obiettivo di favorire il ricorso a rapporti a tempo indeterminato», ha detto infatti in un’audizione in Senato Andrea Brandolini , l’esperto di lavoro dell’Ufficio Studi di Via Nazionale. E ciò proprio nel momento in cui, a partire dal secondo semestre dello scorso anno «sono emersi segnali di ricomposizione della domanda delle imprese verso posizioni standard di lavoro dipendente, a scapito di tipologie contrattuali atipiche o di lavoro parasubordinato, in linea con gli obiettivi della riforma». La spiegazione è nelle modifiche di maggiore flessibilità introdotte col decreto che riduce il periodo minimo intercorrente tra due contratti a tempo determinato, elimina il divieto di prorogare un contratto a tempo determinato senza specificare la causale e amplia la possibilità di utilizzare il lavoro intermittente. Senza contare che «modifiche normative sostanziali ad appena un anno da un’ampia riforma del mercato del lavoro pur concepite come un aggiustamento in itinere, confermino l’incertezza dei percorsi legislativi che da numerosi osservatori è vista come un fattore di debolezza non trascurabile del nostro Paese».

Ma non basta, secondo Brandolini «appare inefficiente variare i margini di flessibilità in risposta alla situazione congiunturale attraverso modifiche degli istituti contrattuali». Piuttosto occorrerebbe «un adeguamento lungo il ciclo, secondo regole prefissate, del differenziale tra gli oneri contributivi previsti per le diverse forme contrattuali».

Inoltre anche gli incentivi previsti sono di incerta applicazione e di entità troppo contenuta per essere realmente efficaci. Le misure per esempio a favore dei giovani tra 18 e 29 anni in condizioni di particolare svantaggio, si rivolgono in linea teorica ad una platea di potenziali beneficiari di quasi 2,9 milioni di persone ma «i vincoli di finanziamento consentono di incentivare ogni anno l’assunzione di un numero di giovani lavoratori compreso tra 30.000 e 50.000». Al di là della possibilità di graduazione degli interventi, resta, secondo Bankitalia , il fatto che l’esperienza del passato «dimostra che gran parte delle assunzioni agevolate sarebbe stata comunque effettuata: una quota significativa delle risorse verrebbe pertanto impiegata senza produrre effetti occupazionali aggiuntivi rispetto a quanto sarebbe altrimenti avvenuto».

Il provvedimento insomma per l’Istituto di via Nazionale non è in grado di affrontare adeguatamente l’emergenza lavoro causata dal prolungarsi della recessione. Una recessione che il Fondo monetario internazionale vede più grave del previsto, per l’intera Eurolandia e per l’Italia in particolare, il cui Pil (Prodotto interno lordo) dovrebbe calare a fine anno dell’1,8% contro l’1,5% stimato tre mesi fa. Le cose andranno un po’ meglio solo nel 2014, quando la nostra economia potrebbe crescere dello 0,7%, lo 0,2% in più del previsto.

Qualche segnale positivo, peraltro debolissimo, arriva dai dati dell’Istat sul potere d’acquisto delle famiglie italiane che nel primo trimestre di quest’anno è migliorato dello 0,5% rispetto ai tre mesi precedenti, interrompendo così la serie di variazioni negative iniziata 2 anni fa. Resta comunque in rosso il confronto su base annua che segna un calo del 2,4%. Nello stesso periodo, tra gennaio e marzo 2013, il reddito disponibile è aumentato dello 0,8% (-0,4% su base annua). In aumento infine anche la propensione al risparmio che è stata pari al 9,3%, in crescita di 0,9 punti rispetto sia al trimestre precedente, sia a quello corrispondente del 2012.

Stefania Tamburello


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