Siria, la soluzione è solo politica
La corte islamica vicina a Liwa al Tawhid, la più grande brigata della provincia di Aleppo, con la sua nuova forza di Polizia, ha una sede dall’altra parte del marciapiede e non si è mossa per arrestare gli assassini. Non ha neppure risposto alle richieste dell’Osservatorio Siriano per i Diritti umani, un istituto vicino all’opposizione, che chiedeva l’arresto immediato di coloro che si erano macchiati di un crimine tanto efferato. Come del resto nessuno degli organi preposti dai ribelli per garantire l’ordine, la giustizia e combattere il vizio, si è mosso quando fanatici ceceni hanno decapitato con un coltello, in mezzo ad una folla di gente come si usava all’età della pietra – o dei talebani, appunto – inermi civili accusati di essere spie al soldo del regime. Nella città di Salqin, a ridosso del confine turco, Jabhat al-Nusra ha imposto alle donne di non uscire senza velo. Qualche mese fa, due attiviste siriane che dall’inizio della rivoluzione, poi guerra civile, combattono il regime, hanno passato guai nella zona. Hanno dovuto lasciare il villaggio la mattina successiva e la Siria poche ore dopo, minacciate dai combattenti di Jabhat al-Nusra perché si sono rifiutate di coprirsi i capelli con un velo. Ed è soltanto un episodio su centinaia che si ripetono quotidianamente nel Nord della Siria controllata dai ribelli.
Per non parlare poi delle minoranze. Padre François Mourad, un monaco che abitava il convento fuori dal villaggio di Ghassanie e che da quando i ribelli avevano preso il controllo dell’area ed i cristiani erano fuggiti a Latakya si era rifugiato nella chiesa Francescana vicina, è stato ucciso con un colpo in testa da combattenti del gruppo el-Muhajirin. Gli stessi combattenti che predicano la purezza morale ma che hanno saccheggiato tutte le case vuote dei cristiani che ci abitavano. Quale sia stato il movente nessuno lo saprà mai, perché a nessuna delle tante corti islamiche nella provincia di Idlib, dove il villaggio si trova, è venuto in mente di andare ad arrestare o per lo meno interrogare i colpevoli di un gesto tanto spietato. In questo villaggio, a novembre del 2012, i ribelli che lo controllavano vivevano fianco a fianco dei 20 cristiani rimasti. Durante una serata piovosa di inizio novembre una anziana signora, cristiana, era venuta nella base a portare da mangiare ai combattenti. Ridendo e scherzando con loro. Poi, per ragioni che nessuno ha saputo spiegare Jabhat al-Nusra è diventata l’unica brigata a controllare il villaggio.
I gruppi integralisti sanno che i ribelli dovranno sempre tollerare senza reagire questi loro crimini.
Questo non solo perché hanno bisogno di loro nelle battaglie, dove è evidente la maggiore preparazione militare e la devozione al martirio, ma anche per evitare di iniziare una guerra interna anzitempo.
Se l’occidente e gli Stati Uniti in testa, non hanno ancora fornito ufficialmente armamenti ai ribelli e la Turchia non ha per ora fatto passare grandi quantitativi di armi pesanti provenienti dalla Libia e dai Paesi del Golfo, il motivo va sicuramente cercato anche nella debolezza dei ribelli (che numericamente sono in maggioranza) verso questi gruppi radicali. Perché difficilmente le armi che entreranno non passeranno anche dalle mani di chi ha fatto del fanatismo la propria ragione di vita.
Ovvio, dall’altra parte i misfatti sono evidenti. Il presidente Bashar al-Assad si è macchiato di crimini contro l’umanità. Ha mandato i jet a bombardare le città uccidendo per la maggior parte civili inermi. Le sue squadre di shabbia, le temute milizie personali, si sono macchiate di massacri imperdonabili, di donne e bambini. Non ha più legittimità a guidare un paese che conta quasi 100mila morti e milioni di sfollati.
Nel mio ultimo mese in Siria, tra Aprile e Maggio, uno dei ribelli, dopo una lunga intervista, mi ha riassunto così la situazione: “prima avevamo un solo Bashar. Adesso ce ne sono 1000”. Ha riso quando gli ho chiesto cosa succederà e mi ha semplicemente detto: “ a mess”, un casino, “ma i siriani non accetteranno certi estremismi”. Si, sarà così, ma gli autori di questi estremismi presenteranno il conto. Perché hanno una regia politica anche loro. E anche meglio organizzata di quella dell’opposizione. Hanno pur sempre avuto martiri durante questa guerra, tanti, e non saranno morti invano. Faranno delle richieste e ci sarà da cercare un compromesso. Se non saranno accontentati politicamente (ed i nuovi rappresentanti della Siria non potranno incorporarli in un futuro governo che vuole avere rapporti internazionali, in quanto considerati terroristi da molti Paesi occidentali), nella migliore delle ipotesi immaginabile inizieranno a mettere bombe in giro.
La soluzione militare alla guerra è sempre più lontana. L’unica possibilità per fermare i bagni di sangue è quella politica. Che però nessuna delle parti in causa vuole considerare.
P.S. Ero stato il primo giornalista ad arrivare nel villaggio di Ghassanie a fine ottobre 2012, dopo che i ribelli lo avevano conquistato. Avevo parlato per una mezza giornata con padre François. Non era contento della situazione ma conviveva pacificamente con i ribelli e ricordo che mi disse, nel suo ottimo italiano: “se questo è successo – riferito alla guerra – è perché Dio ha voluto così. Dobbiamo accettarlo e come tutte le cose che vanno male sono sicuro che anche questa situazione si sistemerà”. Ero ospite di una brigata di giovani dell’ELS che presto sarebbero stati cacciati dagli estremisti. Ci sono tornato il giorno di Pasqua – qui il video -, padre François, era spaventato e non volle neppure ricevermi. Fuori, le case che a ottobre erano chiuse, avevano le porte forzate e dentro erano state svuotate. Eppure lì c’erano stati solo i combattenti el-Muhajirin di Jabhat al-Nusra, non i soldati del regime. (2 – fine)
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