Giornali e notiziari online: «Possibile un accordo fruttuoso fra Google ed editori»
ROMA – «Ci sono le condizioni per una trattativa fruttuosa tra Google e gli editori» per quanto riguarda la remunerazione dei contenuti editoriali diffusi su internet». Ne è certo il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’Editoria, Giovanni Legnini, intervenuto giovedì sul tema dell’editoria digitale. Nel corso del convegno «Quale ruolo del digitale per la cultura e l’industria dei contenuti?» – organizzato da Google il 4 luglio a Roma -, il senatore Legnini pone l’accento sulla crisi dell’editoria tradizionale e sul rapporto tra editoria online e motori di ricerca digitale: «Occorre partire da un punto di principio in relazione al diritto d’autore – spiega -: ovvero che i contenuti sono un valore e la qualità del prodotto editoriale è un valore da difendere». E lascia intendere che il governo è pronto a mediare tra il colosso dei motori di ricerca e gli editori, ma non dice se si punterà ad un accordo simile a quello che ha portato, in Francia, alla nascita di un Fondo per l’editoria digitale finanziato con 60 milioni dal colosso del Web.
Il sottosegretario all’Editoria Legnini
PRIVACY E LIBERTÀ D’ESPRESSIONE – Nel ricordare che «il governo Letta è molto attento al tema della digitalizzazione del Paese», Legnini aggiunge che «c’è un problema non risolto: quello del corretto bilanciamento tra libertà d’espressione e l’esigenza di tutelare la privacy dei cittadini sul Web». Un problema da tener presente nello sforzo che l’Italia sta affrontando per superare il gap, il grave ritardo sul digitale rispetto ad altri Paesi Ue: «Nel 2012, solo il 17% degli italiani ha effettuato acquisti online, contro una media del 45% negli altri paesi europei». Questo mentre in Europa «l’anno scorso, l’incremento delle vendite via web si è attestato al + 22%, con un fatturato complessivo di oltre 305 miliardi di euro».
Mario Calabresi e Daniele Manca al convegno Google
MONETIZZARE LE INFORMAZIONI – Quanto al tipo di prodotti che si comprano via web, secondo una ricerca commissionata da Google a Boston Consulting Group (Bcg), la propensione degli italiani sta rapidamente cambiando: la disponibilità a pagare i contenuti sul web è in crescita, sia per musica e video sia per news e approfondimenti. Ed esiste «un grande bacino di monetizzazione delle informazioni», specie considerato il fatto che, come spiega il vicedirettore del Corriere della Sera Daniele Manca, «il lettore non vuole pagare le notizie, preferisce pagare la loro portabilità: quindi avere i tweet del presidente dell’Egitto destituito Morsi e notizie aggiornate sullo smartphone o su altri device portabili lo convince a pagare il servizio».
TRIPLICATI I DEVICE IN ITALIA – E in questo senso va sottolineata l’esplosione dei consumi di telefoni di ultima generazione, smart tv e tablet in Europa e in Italia: secondo la ricerca «I consumatori europei scelgono i media online», realizzata da Bcg per Google, i possessori di dispositivi mobili sono passati dal 15% di tre anni fa al 50% del 2012, e si prevede possano arrivare al 75% entro il 2015. Il numero medio di dispositivi passerà così, dall’1,4 del 2009 e il 2,6 del 2012, a una media di 4 dispositivi a testa. Come sfruttare questa tendenza per intervenire nella attuale crisi dell’editoria? Ne hanno discusso, in un panel organizzato all’Aranciera di San Sisto, lo stesso Daniele Manca, il direttore de La Stampa Mario Calabresi e il segretario generale dell’Uspi (Unione stampa periodica) Francesco Saverio Vetere.
LE COLPE DELLA FREE PRESS – Secondo Mario Calabresi il problema fondamentale del gap fra gli introiti in picchiata delle edizioni cartacee dei quotidiani – il sottosegretario Legnini ha ricordato che negli ultimi 5 anni il fatturato dei giornali è sceso del 15%, la raccolta pubblicitaria del 50% e il calo delle vendite si è attestato sul 22% – e gli introiti ancora contenuti delle edizioni online sta nel fatto che «in Italia, a differenza di quanto avvenuto negli Usa non si è passati direttamente dalla carta al digitale, in Italia si è passati dalla carta, ai giornali gratuiti (la free press) alle edizioni digitali dei giornali», il che ha reso quasi impossibile far passare fra i lettori l’idea di «pagare per l’informazione digitale di qualità».
IL BUSINESS DEI COLLATERALI – Non bastasse, per anni il mercato è stato quasi drogato «dal business dei collaterali – sottolinea Calabresi – perché portavano un fiume di soldi e nessuno si è posto il problema se fosse il caso di far pagare l’informazione online». Ma qualche colpa ce l’hanno anche i protagonisti dell’informazione: i giornalisti. «Abbiamo erroneamente pensato che i valori del giornalismo li difendesse qualcun altro – dice Daniele Manca – e non la sostenibilità economica delle imprese editoriali».
IL «SISTEMA CORRIERE» – Ma gli errori del passato vanno archiviati e presi come base per costruire il futuro: un futuro che inizia a essere più roseo per le aziende che vendono informazione su carta e online. «Oggi c’è un grande coinvolgimento dei nostri lettori – spiega Manca -: quando un articolo del cartaceo del Corriere della Sera finisce su Corriere.it genera engagement, provoca dibattito e partecipazione. Lo hanno capito molte grandi firme che oggi chiedono di avere i loro pezzi anche online. Lo apprezzano i lettori». Per questo oggi da via Solferino si sottolinea che «Corriere.it fa parte del sistema Corriere» e che i giornalisti della storica testata «lavorano a 360 gradi, per il cartaceo come per internet».
IL PROBLEMA PAYWALL – Quanto alle ipotesi di paywall, ovvero ai progetti di imporre un abbonamento per accedere in toto alle notizie di un sito giornalistico, i partecipanti al convegno di Google sembrano concordi: in Italia non è attualmente praticabile. «Il problema è ancora quello di far percepire ai lettori – spiega Manca – il valore delle informazioni di qualità per le quali chiedere eventualmente di pagare, considerato che il 56% dei lettori non ha mai pagato contenuti digitali». Ma anche sull’idea di mettere a pagamento solo alcuni pezzi, in primis quelli delle grandi firme, permangono dubbi: «Se decidessimo di far pagare la rubrica “Buongiorno” di Massimo Gramellini commetteremmo un errore – dice il direttore de La Stampa -. Piuttosto, abbiamo scelto di farla avere a tutti i lettori anche online, gratis, ogni mattina e dalle 7 alle 10 apriamo il sito con il suo “Buongiorno”». Non solo, conclude Manca: «Dobbiamo anche porci il problema di come preservare il valore del brand e il valore del lavoro giornalistico».
INFORMAZIONE AD PERSONAM – Posto che «non esiste una ricetta, un modello anticrisi se non l’innovazione continua», interviene Jeff Jarvis, guru dell’informazione digitale e blogger con Buzzmachine.com, il segreto del giornalismo di domani «sono i contenuti su misura»: per la prima volta, spiega, «possiamo smettere di trattare la gente come “la massa”, come se tutti fossero uguali». E grazie alle piattaforme digitali e agli aggregatori di notizie che anche i grandi quotidiani italiani stanno iniziando ad utilizzare nei loro siti (si veda Corriere social), si possono «costruire notiziari su misura», anche perché attraverso gli smartphone e altri device «sappiamo molto dei consumatori online: chi sono, che gusti hanno, cosa preferiscono leggere o comprare – precisa Jarvis -: possiamo dare loro tutto, dalle notizie ai consigli su dove andare a mangiare la miglior pizza in città». Tutto, su misura. Perché le imprese editoriali «devono passare da un’industria che dà contenuti a un’impresa di relazioni pubbliche che tratta i clienti uno ad uno, soddisfacendo le loro esigenze personali». Benvenuti nell’era del giornale personale.
Luca Zanini
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