NON È LA GUERRA CHE FA LA STORIA

by Sergio Segio | 4 Luglio 2013 7:09

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Un rovesciamento dichiarato, in altri termini, di quella «mutilazione della storia» che fa delle guerre «qualcosa di simile ai buchi neri del cosmo che attirano, assorbono, inghiottono tutto quel che gli sta intorno»: fanno scomparire, ad esempio, l’intenso lavorio volto a evitarle o a ritardarle. In questo modo, osserva la Bravo, la gerarchia dei temi di ricerca viene quasi a fornire una veste parascientifica alla visione del mondo che fa della guerra la dimensione normale della storia.
È un viaggio affascinante e non privo di rischi, quello della Bravo, e si muove fra questioni differenti ed eterogenee. Non manca naturalmente l’esperienza di Gandhi («il padre del sangue risparmiato, indiano e britannico »), con la lettura della non violenza come approdo. E altre pagine sono dedicate all’azione delle diplomazie internazionali nei decenni che precedono la prima guerra mondiale, con il progressivo perdere d’efficacia delle strategie di dissuasione e contenimento. Vanno poi letti insieme, pur nella loro grande diversità, i due capitoli che riguardano differenti forme dell’agire «senz’armi contro Hitler» nella seconda guerra mondiale. In riferimento all’Italia sono ripresi temi che la Bravo stessa ha contribuito ad imporre, in polemica con il privilegiamento quasi esclusivo della Resistenza armata. In realtà proprio le molteplici forme di «resistenza civile» fanno comprendere una più ampia coralità dell’opposizione al fascismo e al nazismo: dalla protezione agli sbandati dell’8 settembre («il popolo italiano difendeva il suo esercito, visto che si era dimenticato di difendersi da sé», per dirla con Luigi Meneghello) sino all’aiuto, denso di rischi, a migliaia di ex prigionieri alleati o agli ebrei.
L’analisi si estende poi alle forme di resistenza non armata in Europa, sulla scia di un pionieristico lavoro di diversi anni fa di Jacques Sémelin. E si misura in modo diretto con l’esperienza della Danimarca: analizza cioè i modi con cui vengono utilizzati gli spazi che il nazismo lascia nominalmente alle istituzioni danesi fino al ‘43, dopo un’invasione che la Danimarca ha subito senza combattere. Viene analizzata dunque un’opposizione non militare che ha differenti forme e culmina con il salvataggio di massa degli ebrei: quasi una anticipazione di quel che oggi chiamiamo «interposizione non violenta » contro i massacri di civili, osserva la Bravo. Impossibile anch’essa, naturalmente, se la guerra contro il nazismo non fosse stata dichiarata e combattuta dagli Alleati, ma non per questo meno degna di riflessione e studio.
I nodi sottesi a queste pagine ritornano poi nell’analisi della resistenza non violenta nel Kossovo degli anni novanta. Al centro vi è qui la figura di Ibrahim Rugova, con la ricerca di una via che escludesse l’uso delle armi e vedesse all’opera anche uno Stato parallelo: sino al momento in cui, stritolata dagli eventi, essa apparve quasi subalterna a Milosevic, di fatto una rinuncia all’autodifesa. Gli stessi nodi ritornano infine quando lo sguardo si sposta al Tibet del Dalai Lama: realtà remota e anomala, certo, ma capace di riproporre in altre forme gli stessi «chiaroscuri della storia ». Le stesse, intricate e talora irrisolte questioni su cui il libro propone riflessioni non scontate.
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IL SAGGIO
La conta dei salvati di Anna Bravo Laterza pagg. 246 euro 16

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