«F35, decide il governo. No a veti in Parlamento»
ROMA — Nessuno intende scavalcare o, peggio, esautorare le Camere. Il Parlamento, essendo sovrano, ha certo la prerogativa di «sindacare» ed esprimersi liberamente su tutto, dunque anche sui «programmi di ammodernamento delle forze armate». Ma, quando si è di fronte a «decisioni operative e provvedimenti tecnici» (che «per loro natura rientrano tra le responsabilità costituzionali dell’esecutivo»), le scelte ultime spettano a Palazzo Chigi. Tanto più se si tratta di onorare accordi presi da tempo e inquadrati nella cornice di qualche legge approvata dalle assemblee. Il Parlamento, insomma, può apportare correzioni, ma non congelare una legge già votata, né del resto dispone di un «diritto di veto» in queste materie.
Ha l’impatto di un meteorite che rende rovente un confronto politico già convulso, il richiamo con cui il Consiglio Supremo di Difesa — guidato da Giorgio Napolitano — ripropone il tema della separazione dei poteri a proposito del contestato, e assai costoso, acquisto dei cacciabombardieri F35. Una puntualizzazione in evidente sintonia con il governo, ma che fa subito impennare Sel e il Movimento 5 Stelle (i cui dirigenti parlano di «schiaffo» del presidente della Repubblica al Parlamento) e alimenta nuove divisioni in casa del Pd, dove Giampiero Scanu (ma anche Civati e altri) rivendica «la competenza primaria del Parlamento» e ricorda che la sua «sovranità non può essere derubricata».
Si recrimina quindi su un deliberato depotenziamento della mozione approvata soltanto una settimana fa (400 voti a favore, 149 contrari), attraverso la quale la maggioranza delle larghe intese aveva bagnato le polveri delle polemiche impegnando il gabinetto di Enrico Letta a «non procedere a nuove acquisizioni» senza un preventivo via libera delle Camere e senza «un’indagine conoscitiva» della durata di almeno sei mesi. Le cose non possono essere interpretate così, in modo equivoco o fuorviante: ecco il senso della replica uscita dal vertice di ieri del Consiglio Supremo di Difesa, che ha riunito al Quirinale, insieme con il capo dello Stato, il premier e i ministri Alfano, Bonino, Saccomanni, Mauro e Zanonato, oltre a due alti ufficiali come l’ammiraglio Binelli Mantelli e il generale Mosca Moschini. Il comunicato mette in chiaro che, avendo il governo tra i suoi compiti esecutivi l’ammodernamento delle Forze Armate — secondo un programma già passato al vaglio delle Camere attraverso disposizioni di bilancio e relative leggi di accompagnamento — Palazzo Chigi deve eseguire anche quanto contemplato dall’articolo 4 della legge 2.454 del 2012 che riforma lo strumento militare. Vale a dire che, stando a quanto segnalano fonti governative, «c’è un programma che viene da lontano e che va rispettato… il suo mancato rispetto sarebbe una cosa complessa e il Parlamento deve tenerne conto».
Sembrano questioni di lana caprina, ma lo sono soltanto per chi vuole giocare sul fraintendimento, si osserva sul Colle. Anche perché — e il comunicato lo spiega — nonostante «le risorse limitate», è necessario «essere in grado di far fronte efficacemente alle esigenze di pace e sicurezza». E gli F35 servono a questo. Una precisazione che, con l’aria che tira nel mondo politico, sarà difficile possa bloccare le tensioni. Una schiarita potrebbe forse venire dall’imminente incontro tra Napolitano e una delegazione del M5S: invito travagliato, con il leader del Movimento che nell’arco di poche ore ha attaccato il presidente, salvo poi domandargli un’udienza al Quirinale. Incontro accordato quando la richiesta ha preso i toni e le forme giuste (non quelle satiriche apparse sul blog di Grillo). Napolitano si è reso disponibile per le 11 di domani. Il blogger ha fatto sapere che, per suoi impegni, era meglio un’altra data e infine ha invece annunciato che ci sarà (forse anche con Casaleggio) «per il bene del Paese».
Marzio Breda
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ROMA — La tattica è sempre quella e al Quirinale la conoscono bene, per esperienza diretta sia di Napolitano che dei suoi ultimi due predecessori. Fomentare ogni giorno nuove polemiche, parlando ai bassi istinti della gente. Pianificare un uso politico delle paure collettive, colpendo il più in alto possibile e cancellando il senso del limite.