«Io, imprenditore orgoglio del Sud sconfitto da un distretto fotocopia»

by Sergio Segio | 3 Luglio 2013 8:59

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Pasquale Natuzzi è alle prese con una drastica riorganizzazione del suo gruppo e con un piano di 1.700 esuberi che i sindacati locali hanno definito «vergognoso». Ma per anni l’imprenditore pugliese è stato celebrato dagli intellettuali meridionalisti come una sorta di Adriano Olivetti del Sud. Il distretto del divano della Murgia era sembrata la risposta di un Mezzogiorno orgoglioso e capace di produrre cultura industriale. La sua decisione di quotarsi direttamente a New York alimentò il sogno di una Puglia cosmopolita che non aveva bisogno di pagare il pedaggio a Milano. Ma tanti che lo avevano coccolato nei momenti di splendore hanno chiuso gli occhi quando è cambiato il registro. Quando come racconta in prima persona, «dieci anni fa ho cominciato a visitare le prefetture di Bari e di Matera, ho bussato alla Guardia di finanza e ogni volta ho lasciato denunce precise con fatti, nomi e cognomi». E sì, perché quello che è successo nella Murgia ha dell’incredibile. Dietro l’azienda leader è nato un sistema di imprese che producevano gli stessi divani, utilizzavano i lavoratori in cassa integrazione dalla Natuzzi e producevano in Italia a prezzi cinesi. Chi doveva vigilare non lo ha fatto, i sindacati hanno chiuso gli occhi e attorno alla Natuzzi sono nate e si sono sviluppate aziende formalmente guidate da cinesi che aprivano e chiudevano ogni 14 mesi.

I nomi li fa lo stesso Natuzzi. «Calia, Chateau d’Ax, Nicoletti, Poltrone e Sofà, tutti hanno adottato lo stesso modello di business. E il presidente del distretto del salotto della Lucania, Tito Di Maggio, ha dichiarato ufficialmente di produrre al costo industriale di 25 centesimi al minuto. Ma come fa se il costo industriale di un’azienda in regola, tipo la mia, è di 92 centesimi!». Come si spiega tutto ciò? La verità è che sono nate imprese come quelle citate da Natuzzi che in realtà erano solo dei marchi commerciali. Pochi dipendenti, tutto marketing, una buona spesa pubblicitaria usando come testimonial attrici e miss Italia. Queste aziende sono cresciute fabbricando divani nelle cantine dei paesi a cavallo tra la Puglia e la Lucania e utilizzando manodopera in nero o lavoratori Natuzzi in cassa integrazione che trasferivano know how dell’azienda madre. «Una volta — racconta lo stesso Pasquale — la Guardia di finanza individuò due operai in cassa che stavano lavorando in un’altra azienda. Noi li licenziammo immediatamente e il magistrato mi ha costretto a riassumerli».

A condire il giallo del divano imbottito c’è anche la leggenda dei cinesi. Si dice che in zona siano 2 mila, di sicuro gli italiani ne hanno usati tanti come teste di legno per le coperture amministrative e legali e infatti le statistiche della locale Camera di Commercio registrano un secco aumento di asiatici alla guida di imprese attive nella Murgia tra il 2009 e il 2012.

Detto del clima di straordinaria illegalità che ha avvolto il distretto in questi anni senza che la politica muovesse un dito e che le autorità facessero il loro dovere, è evidente che anche l’imprenditore Natuzzi ha commesso i suoi errori. Chi conosce le aziende sostiene che avrebbe dovuto organizzare il ciclo produttivo in maniera meno integrata e più flessibile, che avrebbe dovuto curare di più l’efficienza e che forse ha esagerato ad aprire negozi (300) in quasi tutto il mondo.

È accaduto che l’Adriano Olivetti del Sud sia rimasto in qualche maniera prigioniero del mito che gli era stato costruito addosso. Lui, anche in circostanze così drammatiche e nonostante le 73 primavere che ha già contato, non si dà per vinto. Pensa che i suoi prodotti siano ancora validissimi e giura che non ha nessuna intenzione di delocalizzare. Se vuol metter fuori 1.700 persone è «per salvare il gruppo» e non mandare tutto a carte quarantotto.

Per chi resta senza lavoro Natuzzi ha già studiato un’idea: si tratta di recuperare flessibilità produttiva creando delle cooperative di operai-terzisti capaci di produrre a costi più bassi di due terzi rispetto alla casa madre e di combattere il «distretto illegale». Riuscirà il capitano d’industria che tutto il Meridione avrebbe voluto per sé a vincere questa battaglia? La recessione infinita non gioca certo a suo favore ma un primo risultato ieri lo ha portato a casa. I duri che proponevano lo sciopero sono stati battuti e hanno vinto gli operai aziendalisti. Così oggi alla Natuzzi comunque si lavora.

Dario Di Vico

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