De Rita: “Ma non è solo rinuncia c’è un consumo più consapevole”

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Dopo trent’anni di crescita perenne non poteva che andare così. E non è solo una questione di crisi economica: al terzo telefonino cambiato subentra la noia, al settimo vestito acquistato arriva l’indifferenza. Per Giuseppe De Rita, presidente del Censis, il crollo dei consumi non è legato solo alla caduta del reddito, c’è un «riposizionamento» del modo di vivere e di spendere. Stiamo attraversando il passaggio filosofico «dalla dismisura
alla misura».
Presidente, letta così la crisi dei consumi ha un che di positivo.
«Di naturale direi: la curva, dopo decenni di crescita, non poteva che scendere. La frenata c’è stata e ha creato timori e frustrazioni. Ora però stiamo arrivando alla seconda fase: in un primo tempo pensavano che il cambiamento ci avrebbe portato alla miseria e alla distruzione, adesso stiamo raggiungendo la consapevolezza ».
Quale consapevolezza?
«Quella che dietro l’acquisto ci può essere un scelta motivata: compero questo e non quello, e non è detto che acquistare di meno voglia dire penalizzare la qualità. Non c’è declino, le famiglie — semmai — si sono rimpossessate della capacità di decidere. E va chiarita una cosa: non comperiamo più anche perché non c’è nulla di nuovo da acquistare».
E la marea di nuovi prodotti tecnologici?
«Sono tutti figli dell’ultima vera novità arrivata sul mercato negli ultimi venti anni: il telefonino. Dopo il cellulare non c’è stato niente di davvero innovativo. Tablet, smart-phone sono solo multipli, prodotti di evoluzione, ma la spinta è la stessa. Per vincere la stanchezza e ritornare al consumo di massa servirebbe qualcosa di rivoluzionario ».
Quindi la vera liberazione oggi è non comperare?
«Marcuse diceva che la strategia del tardo capitalismo sarà la moltiplicazione dell’offerta. Il rischio di tale prospettiva era il declino della società per mancanza di desiderio: direi che abbiamo resistito. Siamo più marcusiani oggi che nel ‘68».
Torneranno mai gli anni d’oro del consumismo rampante?
«Non così, per lo meno non sulle stesse cose. Siamo saturi di auto, case, telefonini. Ci sarà una lenta ricostruzione e varrà la legge del sottoinsieme: il modo di consumare cambierà a macchia di leopardo, non tutti ne usciremo allo stesso modo. Ma va detto che il Italia esiste anche un buon capitalismo, legato alla manifattura, al turismo, ai borghi. Abbiano strutture solide dalle quali ripartire ».
La caduta dei consumi lascerà un vuoto?
«C’è una vecchia idea della società moderna che considera il singolo alla mercé del mercato e della finanza. In parte è così, i consumi sono stati presentati anche come un possibile riempitivo della vita. Vista la situazione attuale si ripresenterà il problema di dare
un senso a quella vita».
Siamo pronti a farlo?
«Non tutti, e non c’è da meravigliarsi. In fondo veniamo da trent’anni di perenne crescita. La ricostruzione arriverà per sottoinsiemi, non sarà uguale per tutti».
Tornando al pratico lei oggi cosa consiglierebbe ai commercianti?
«Di utilizzare come sempre fanno il loro «radar», captare le nuove tendenze e costruire i sottoinsiemi per chi resiste. Lo stanno già facendo, basta vedere — per esempio — la velocità con la quale è stato organizzata l’offerta di mercati nuovi come quello della sigaretta elettronica».


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