L’ira di Renzi: mai così forte la tentazione di non candidarmi

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ROMA — «La tentazione di non candidarmi alla segreteria non è mai stata forte come oggi. Un mese fa, quando ripetevo che quell’incarico non era nelle mie corde, non c’era uno che mi dicesse di fermarmi. Erano tutti renziani. Adesso invece eccoli là, tutti di nuovo coalizzati contro di me».

L’ora di pranzo è passata da pochissimo. Matteo Renzi ha appena finito di scrivere una delle sue enews, lo strumento con cui — soprattutto durante le primarie dell’anno passato — si teneva in contatto con la sua gente. La comunicazione di ieri è di quelle che rimangono. «In privato tutti mi dicono: “Matteo, stai buono, ti facciamo fare il candidato premier. Stai buono che poi tocca a te”. Insomma, un bambino bizzoso cui si promette la caramella se non piange», è la premessa renziana. Quello che viene dopo è un avviso ai naviganti: «Signori, conosco il giochino. I capicorrente romani prediligono lo sport del tiro al piccione. E io, sinceramente, non ho voglia di fare il piccione».

Il testo si presta a due interpretazioni. Una contempla l’accelerazione verso la discesa in campo, l’altro va nella direzione opposta. Ma quando la scena si sposta dietro le quinte, con «Matteo» che si confronta coi fedelissimi nel chiuso della sua stanza a Palazzo Vecchio, lì c’è un’indicazione chiara. Che potrà senz’altro modificarsi, visto che il sindaco ha già pronta la macchina della campagna per le primarie, «documento politico» compreso. Ma mai come ieri, il piatto della bilancia pendeva verso il no.

Torna l’amarezza, quel «mai come oggi sono tentato dal non candidarmi». Ed è spinto da quel sentimento che Renzi, di fronte agli amici più stretti, fa anche i nomi. «Ragazzi, su con la vita, una caratteristica ce l’ho ancora. Sono sempre quello che mette d’accordo tutti. Da Bersani a Franceschini, da D’Alema a Fioroni. Eccoli che si sono tutti rimessi d’accordo… contro di me». E via con un sorriso, anche se amaro.

A metà pomeriggio, le frasi che Renzi ha scolpito nell’enews si estendono tra i big del Pd come la Fama all’inizio dell’Eneide . Passano di bocca in bocca, di corrente in corrente. Dal «non ci sto al tiro al piccione» alla sollecitazione riservata a Guglielmo Epifani («Ho chiesto al “traghettatore” di fissare la data del congresso.Non ho ricevuto per il momento nessuna risposta»), passando dalla puntura di spillo riservata al «filosofo Brunetta», che in questo periodo l’ha preso di mira. Rosy Bindi reagisce con una battuta al vetriolo: «Renzi piccione? Semmai una colombina…». Pier Luigi Bersani marca visita: «Per carità, tenetemi fuori dai piccioni». E Beppe Fioroni maramaldeggia: «Renzi sbaglia a paragonarsi ai piccioni. Sono animali che fanno branco, si muovono sempre assieme, sono una grande famiglia e attecchiscono facilmente. Inoltre — è la chiosa velenosa dell’ex ministro Pubblica Istruzione — chi li vuole eliminare è punito penalmente».

Ed è niente rispetto a quello che accade in serata. Quando Massimo D’Alema, che nelle ultime settimane aveva tessuto insieme al sindaco di Firenze una tela votata al dialogo, si presenta ai microfoni del Tg1 e lo dice evitando giri di parole ed eufemismi: «Renzi ha sempre detto che vuole essere il leader del centrosinistra. Aspetti dunque le primarie per eleggere il candidato del centrosinistra e ci consenta di eleggere il segretario del Pd». Altrimenti, è la subordinata del presidente di ItalianiEuropei , «rischiamo di eleggere un cattivo segretario».

Impossibile non cogliere la somiglianza tra quest’ultima frase di D’Alema e la prima del messaggio di Renzi («In privato, tutti mi dicono: Matteo, stai buono, ti facciamo fare il candidato premier»). Il sindaco, dalla sua, aveva già mandato la sua raccomandata con ricevuta di ritorno al Nazareno: «Quello che faremo, sia che ci candidiamo sia che non ci candidiamo, lo faremo come sempre». Come? Semplice, «senza chiedere il permesso».

Tommaso Labate


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