Vivo e vegeto. Un libro ricorda Don Gallo

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L’idea del libro nasce da una chiacchierata tra Domenico Chionetti e Gianni Di Santo “il vaticanista di riferimento del Gallo”, come amava apostrofarlo il Don. “Erano i giorni della veglia, passavamo ore a parlare e ricordare il Gallo con i tanti amici e compagni di strada che gli avevano voluto bene”, aggiunge Megu, “così abbiamo pensato di raccogliere alcune testimonianze in un libro, per tenere vivo il ricordo di quelle incredibili giornate”.Tante le voci chiamate a raccontare Don Andrea, fra queste: Don Luigi Ciotti, Moni Ovadia, Vauro, Vladimir Luxuria, Marco Doria, Gianni Di Santo, Simona Orlando, Tommaso Giani, i ragazzi della Comunità e altri ancora. 
Ognuno racconta un Gallo diverso: c’è quello “istituzionale” di Don Ciotti che ricorda la strada percorsa insieme sempre al fianco degli ultimi e le sue ultime dichiarazioni di apprezzamento nei confronti di papa Francesco; Moni Ovadia interviene in qualità di suo “direttore spirituale”, dal Gallo stesso nominato con orgoglio tempo fa: “un buon sacerdote deve avere un direttore spirituale, io ce l’ho ed è ebreo”.
Poi ci sono le vignette di Vauro dissacranti e provocatorie. In una c’è Don Gallo con San Pietro che stupito non capisce perché voglia lasciare il paradiso. E il Don che ribatte: “sa come è io mi trovo meglio con gli esclusi”. Marco Doria, sindaco di Genova – anche grazie al sostegno di Andrea durante la campagna elettorale dello scorso anno – ricorda con affetto e commozione il suo essere prete ma soprattutto cittadino e le sue battaglie e il suo impegno per la difesa e la dignità delle persone. 
L’ultima battaglia è stata la mobilitazione organizzata qualche mese fa per impedire l’apertura dell’ennesima casa da gioco nel ponente cittadino. Al grido di “nocasino” la comunità ha iniziato un’opera di sensibilizzazione sulle tematiche delle ludopatie che continua ancora oggi.Le parole più belle però sono quelle di Simona Orlando e dei ragazzi della Comunità che raccontano quella terribile settimana quando il Gallo ci ha lasciato. 
Ma non si tratta di elaborare un lutto collettivo, perché come scrive Simona “il cuore del Gallo ha smesso di battere ma non va altrove”. Per gentile concessione dell’editore pubblichiamo parte del “Diario” di Simona Orlando con la Comunità San Benedetto al PortoL’archivio di don GalloL’archivio di don Gallo è stato il quartier generale di mille azioni, molo della baia dei pirati, pronto soccorso dell’ospedale da campo che è la Comunità di San Benedetto. È stato un confessionale, una centrale operativa, un’edicola, un luogo di preghiera e di baldoria. Qui il Don riceveva e dava, consumava sigari e scriveva, dal tramonto all’alba. C’è il suo letto, la foto di don Bosco e del Papa Buono, la lavagna con su scritto in rosso «Pregare e fare le cose giuste fra gli uomini». C’è il cappello d’alpino di suo nonno, il Borsalino bianco per l’estate, l’arcobaleno della pace, un minareto in miniatura, tanti libri e cd, le poesie dei suoi ragazzi attaccate all’armadio. C’è il suo tè la- sciato a metà e una scatola di toscani vuota. Da qui, nel retrochiesa dove è esposto il suo corpo, vogliamo trasmettervi le cronache “galliche”, per portare tra noi chi a Genova non potrà passare.22 maggio ore 17.45
Il cuore del Gallo smette di battere ma non va altrove. C’è la strana sensazione che lui ci continui a guardare, osservi le nostre reazioni, controlli che stia- mo tutti bene, ci dica fermamente: «Adelante, gente». Il corpo lo devono ancora sistemare, ma già in strada c’è la fila da contenere. Arrivano in cinquecento. Sotto l’altare s’intona un Bella ciao con andamento di un Alleluja.23 maggio ore 9.00
Genova stamattina si è svegliata con un sole prepotente. Qualcuno dice che il Gallo gli ha chiesto il favore di asciugare tutte le lacrime.
In tremila arrivano per salutare. Un flusso lento e costante, composto ed eterogeneo. Il mondo intero passa di qui. Si può stare fermi in un angolo e veder scorrere ogni antro del pianeta. Sfilano peruviani e brasiliani, africani, genovesi e genoani, punkabbestia con i cani, rastafariani, notabili, dottori, suorine, senzatetto, preti di parrocchie dimenticate, vecchi tossici e vecchie madri di tossici, ultras, ragazzi dei centri sociali, sindaci e deputati, trasandati e ingioiellati. Freak & Chic. Abbiamo visto inginocchiati davanti alla bara uomini grandi grossi e spaventosi, quelli che alla società fanno davvero paura. Lupi dolci come agnelli. Non sarà, Gallo, che avevi ragione? Che l’amore rie- sce laddove nessuna legislazione riesce?
Tornano i sessantottini, i primi ragazzi delle cascine, quelli che persero i fratelli di Aids, quelli che hanno smesso e ricominciato, quelli che non hanno mai smesso, quelli che non hanno mai cominciato. Volontari, operatori sociali, ubriaconi, pie donne e prostitute, direttori di banca, giornalisti, fantasisti. Mezzi nobili e mezzi ignobili, avrebbe detto Totò. Entrano camalli, uomini con grossi calli, donne con scialli, stu- denti, zoppi, matti. Le trans, le princese del ghetto alle quali il Don faceva il baciamano. Chi davanti al Gallo alza il pugno, chi sgrana il rosario, chi ride ripassando le sue battute e chi resta con una smorfia appesa per- ché gli mancheranno.
Si incontra chi col Don vive ogni ora da trent’anni e chi non lo vede da allora. Uno di questi, senza denti, stanotte è entrato e ha chiesto serio: «Non c’è nessuno di voi che sappia imitare bene il Gallo? Giusto per vederlo un’altra volta». Si ride di pancia, e si gira la testa per asciugarsi la guancia. Il dolore per averlo perso e la gioia per averlo conosciuto si combattono talmente che alla fine vince una sola lacrima, scende a picco da una parte, mentre dall’altra ti sembra di essere una persona forte.
Sul feretro c’è il cappello del Gallo e la sua sciarpa rossa arrotolata, il Vangelo e la Costituzione, una bandiera dell’Anpi, una maglia del Genoa, la bandiera della pace, una caricatura di Andrea, il saluto della Compagnia Unica Del Porto, un cartello con su scritto: «Attenti al Gallo», un altro con su scritto: «Se il cielo entra in una stanza».
Pochi fiori, tante lettere. È successo solo ieri e ci sembra passata una vita, ma una cosa finora l’abbiamo capita: nessuno resta più di chi se ne va così amato.
Gente, gente in ogni dove. Continua il serpentone fin fuori la chiesa. Chi viene per la prima volta, chi torna ogni giorno. Che si fa? Si va dal Gallo. Oggi come un tempo si passa di qua che è un piacere, qualcosa accadrà, qualcuno s’incontrerà. C’è chi ha voglia di stare insieme e chi assolutamente da solo, chi sta scrivendo due parole da dire stasera alla veglia e chi preferirà ascoltare, chi sta provando le canzoni da suonare. Intanto da ieri, dall’altare, risuona in sottofondo la voce profonda di De André. Accompagna il passo delle sue anime salve, copre le spalle al Gallo, tante volte avesse freddo.
Dall’archivio si vede il mare, ma fra la sedia del Gal- lo e la prima nave c’è un muro con su scritto: «De los diamantes no nace nada, de la mierda nacen las flores». Faber tradotto in spagnolo, a tiro di sigaro dal Don, sotto la sua finestra, quasi fosse una dichiarazione.
La Comunità è impegnata ad accogliere amici che vanno e vengono e a organizzare la giornata di do- mani. Una delegazione stamattina ha incontrato i rap- presentanti del Comune, della Questura, della chiesa del Carmine. Pensava di staccarsi un po’ dalla situazione invece nei bar, nei vicoli, sui taxi, tante bocche pronunciano un nome, ognuno a suo modo: Andrea, Don, il Vecio, Gallo. Proprio ora che si è fermato, arriva in ogni dove.
Sul feretro si sono posate la bandiera dell’Arci, toscani fumati per metà, una bottiglia di olio biologico, uno zainetto (senza esplosivi dentro). Sulla scrivania cresce una pila di telegrammi e una lettera dal carcere.24 maggio dalle ore 21 – Veglia
La veglia per il Gallo è andata avanti fino a tarda notte. Una sveglia più che altro. Ci sono piombate ad- dosso slavine di affetto. La chiesa gremita, i ragazzi che hanno occupato ogni spazio dell’altare, persone sedute a terra, attorno alla bara, i santi sul muretto ad applaudire. Un falò a portata di mare. Il microfono di mano in mano, di gola in gola, un lungo intervento a cuore aperto. La comunità, piegata dal dolore eppure stanotte forte come una quercia. I ragazzi si sono mostrati, rivelati, confermati. Hanno preso la parola a turno, senza paura, senza vergogna. Consapevoli. Fieri. Hai visto Gallo quanti fiori? Li hai innaffiati e stasera sono sbocciati. La canonica era un giardino.
La bimba No Tav saluta «il suo amico speciale», la trans consiglia «bisogna aiutare chi non è libero. E chi non è libero sta in alto, non in basso», l’altra ricorda quando il Gallo l’ha presentata in pubblico dicendo: «Io questa donna me la voglio sposare».
Un ragazzo racconta il suo primo incontro con Andrea: «E tu chi sei?».
«Un paziente psicopatico.»
«Allora non hai capito un casso!» Ora lo psicopatico ha preso il brevetto di pizza acrobatica e: «E ogni volteggio di lievito in cielo, Don, lo dedico a te».
Amazing Grace suonata dal sax, tenerezze di preti affini, vecchi amici delle feste dell’Unità, ex tossici diventati amministratori delegati e operatori per i nuovi caduti, figlie smarrite trasformate in madri attente, chitarristi, cantanti, streghe dai capelli turchini, tanta musica gridata, trafficanti di speranza, briganti con un bottino di sogni, ricercati dal passato ormai pronti a mettere la taglia sul futuro.
È stato un diluvio di raggi. È tornato indietro come un boomerang quel che il Gallo ha dato. Senza prevederlo, senza pianificarlo, è stato il saluto più bello. Un movimento così ribelle che la morte se l’è data a gambe. Niente che si teme, finché si sta insieme.
E mentre il Vecio cantava Bella ciao in chiesa, nelle immagini mandate in tv dal caro Crozza, la canonica, ignara, la cantava in simbiosi, splendendo sotto la luce di un bel fior. Eravamo tutti, c’eravate anche voi che non siete venuti.
Il sussurrare che ha attraversato la chiesa per ore era un mantra: «il Gallo non è assente, è solo invisibile». Eppure più di uno giura di averlo visto in prima fila a fumare.


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