Venezia, un tribunale per i reati ambientali. Ecco i 12 disastri accusati di ecocidio

by Sergio Segio | 21 Giugno 2013 9:33

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VENEZIA  –  Dai casi più noti, come Bhopal e Fukushima, al massacro delle foreste indonesiane, passando per la montagna di piombo che avvelena gli abitanti di Abra Pampa, in Argentina. E’ un elenco di 12 disastri ambientali accomunati dall’accusa di ecocidio. Viene discusso oggi al convegno “Ambiente e salute: verso una giustizia globale”, organizzato a Venezia che si candida a diventare la sede del diritto internazionale sull’ambiente[1]. “Sono maturi i tempi per estendere le competenze della Corte penale internazionale dell’Aja ai reati ambientali più gravi e per creare il Tribunale penale europeo dell’ambiente, in modo da rendere omogenea e più efficace la battaglia contro questi crimini), spiega Antonino Abrami, presidente della  Fondazione Sejf  (Supranational Environmental Justice Foundation[2]) e promotore dell’iniziativa.Ecco una sintesi degli hot spot dell’ecocidio.

Kiribati e Maldive: le isole a rischio global warming. Il presidente delle Kiribati sta negoziando l’acquisto di terreni nelle Fiji per consentire la migrazione dei 113 mila abitanti che rischiano di perdere la casa per l’innalzamento dei mari.  E verso l’Australia contano di emigrare i 350 mila abitanti delle Maldive minacciati dal cambiamento climatico.

Canada: le sabbie bituminose minacciano i nativi. Lo sfruttamento delle sabbie bituminose canadesi viene considerato da molti organismi interazionali come l’attività industriale più dannosa del pianeta. Per ottenere un barile di petrolio si usano fino a cinque litri di acqua. E i liquami tossici vengono scaricati in vasti laghi colmi di residui di benzene, composti policiclici aromatici, mercurio, piombo e arsenico che coprono oggi una superficie complessiva di 170 kmq. Nella carne di alce, elemento essenziale della dieta dei popoli nativi del Canada, si è trovato un livello di arsenico fino a 33 volte superiore a quello accettabile per legge.

Nigeria: i fuochi che avvelenano il delta. Durante l’estrazione e il trasporto del petrolio ogni anno viene bruciato l’equivalente di 2 miliardi e mezzo di dollari di gas. Il fumo che proviene dal gas flaring contiene grandi quantità di sostanze pericolose per la salute e per l’ambiente: anidride carbonica, ossidi di zolfo e di azoto, tuolene, xilene e benzene. Gli effetti sulla salute vanno dalle malattie cardiorespiratorie alla silicosi, dall’avvelenamento del sangue al cancro.

Indonesia: devastato il polmone del pianeta. L’Indonesia ha il più alto tasso di deforestazione nel mondo: ogni anno perde 1.871.000 ettari di foreste pluviali. La distruzione della foresta per la produzione della carta si deve soprattutto al gigante cartario asiatico Asia Pulp & Paper (APP). Dopo anni di campagne di protesta, nel febbraio di quest’anno la APP ha annunciato l’immediata moratoria dell’abbattimento di alberi nelle foreste naturali. Ma per i danni prodotti fino ad oggi non pagherà nessun risarcimento.

Giappone: Fukushima. Ancora oggi, a oltre un anno dall’esplosione della centrale nucleare (11 marzo 2011),  più di 21.000 non possono tornare a casa per i livelli di radioattività. E centinaia di migliaia di persone restano esposte alla contaminazione radioattiva a lungo  termine causata dall’incidente. Queste vittime non hanno ancora ottenuto un risarcimento equo mentre la nazionalizzazione della società che gestiva l’impianto (la Tepco) nel giugno 2012 ha finito per far pagare il conto di Fukushima a tutti i cittadini giapponesi.

Golfo del Messico: la marea nera. Il disastro della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon della BP, il 20 aprile 2010, è stato il più grave danno ambientale marino della storia statunitense: 11 morti e gravissime conseguenze ambientali per le coste della Louisiana. La BP si è accordata con il governo americano per un fondo risarcimento alle vittime per complessivi 20 miliardi di dollari, ma i reali danni del disastro ambientale sono tutti da valutare e la certezza della pena ancora da stabilire.

Romania: l’onda di cianuro del Danubio. L’onda di cianuro partita il 31 gennaio 2000 dalla miniera d’oro Esmeralda, ad Auriol, in Romania, ha devastato il corso del Danubio fino alla foce, la più grande zona umida d’Europa. La diluizione ha abbassato l’impatto immediato del veleno che aveva raggiunto valori 800 volte superiori ai limiti consentiti, ma, sebbene diluito, il cianuro ha rappresentato una minaccia terribile per il più importante serbatoio europeo di biodiversità ittica e di avifauna.

Ecuador: contaminati 2 milioni di ettari. La multinazionale Chevron-Texaco, durante le operazioni di esplorazione e sfruttamento delle risorse petrolifere in Ecuador nell’area del Lago Agrio, è accusata di aver inquinato pesantemente oltre due milioni di ettari, contaminando gravemente la foresta amazzonica e riversando 60 miliardi di litri di reflui tossici nell’acqua utilizzata dalle popolazioni locali. Due popoli indigeni, i Tetes e i Sansahuaris sono scomparsi, mentre le tribù dei Cofan e dei Siona Secoya sono state costrette a migrare dalle terre ancestrali. Ben 30.000 abitanti hanno denunciato nel 1993 la Texaco (acquisita nel 2001 dalla Chevron) e un tribunale ecuadoregno ha riconosciuto la colpevolezza della compagnia petrolifera imponendo una sanzione da 18 miliardi di dollari. Ma la vicenda giudiziaria non è ancora conclusa.

Mediterraneo: la beffa della Haven. L’affondamento davanti ad Arenzano della petroliera Haven, una carretta del mare, nell’aprile 1991, provocò la morte di 5 uomini dell’equipaggio e lo sversamento sui fondali del Mar Ligure di oltre 134 mila tonnellate di petrolio. Petrolio che continuerà a danneggiare l’ecosistema marino per almeno altri 10 anni. Lo Stato italiano ha accettato un risarcimento beffa: 117 miliardi e 600 milioni di lire. Una cifra irrisoria rispetto al caso della Exxon Valdex in Alaska, dove per uno sversamento analogo di petrolio la Esso pagò l’equivalente di 7.700 miliardi di lire.

Bielorussia: Chernobyl. Il disastro avvenuto il 26 aprile 1986 provocò la fusione del nucleo del reattore e la creazione di una nube radioattiva che ha raggiunto molti paesi europei. Non esistono ancora oggi dati ufficiali e definitivi sui morti ricollegabili alla tragedia.  Anche in questo caso non è stata accertata alcuna responsabilità penale.

Argentina: la montagna di piombo ad Abra Pampa. Una montagna di 30.000 tonnellate di piombo – residuo delle lavorazioni dell’impianto minerario di Huasi chiuso negli anni ’80 – costituisce una bomba ecologica e sanitaria per la cittadina di Abra Pampa, nel nord dell’Argentina. Secondo lo studio dell’Università di Jujuy sulla valutazione del rischio chimico nella zona, l’81% della popolazione infantile è esposta ai danni derivanti dal piombo, soprattutto a causa dell’inalazione di polvere del minerale.

India: Bhopal, 30 anni di ingiustizia. Nella città indiana di Bhopal nel dicembre 1984 allo stabilimento della Union Carbide India Limited, consociata della multinazionale americana Union Carbide specializzata nella produzione di pesticidi, si verificò la  fuoriuscita di 40 tonnellate di isocianato di metile. La nube uccise in poco tempo 2.259 persone e ne avvelenò decine di migliaia. Il governo del Madhya Pradesh, negli anni successivi, ha confermato un totale di 3.787 morti direttamente correlate all’evento, ma stime di agenzie governative arrivano a 15.000 vittime. Nel 2006 fonti governative sono arrivate a valutare che l’incidente ha causato danni rilevabili a 558.125 persone. Nel giugno 2010 un tribunale di Bhopal ha emesso una sentenza di colpevolezza per omicidio colposo per grave negligenza nei confronti di otto ex dirigenti indiani della Ucil ma le pene sono state irrisorie: 500 euro per ogni vittima, 100 euro per ogni persona contaminata.

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Endnotes:
  1. diritto internazionale sull’ambiente: http://www.iaes.info
  2. Supranational Environmental Justice Foundation: http://www.fodanzionesejf.it

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