by Sergio Segio | 11 Giugno 2013 7:37
Non è possibile ignorare queste dichiarazioni per l’autorità della persona da cui provengono e perché sono pronunciate in nome di un paese che si è distinto finora nel difendere con accanimento competenze e prerogative nazionali. Tuttavia non è la prima volta che il tema dell’unità politica viene appassionatamente evocato in Francia (vedi Mitterrand) senza che ne seguano misure corrispondenti. Anche nel discorso di Hollande il richiamo all’unità europea non si accompagna ad alcuna misura specifica rivolta a rafforzarla: la retorica europeista non è un’esclusiva italiana.
Ricordiamo che le riforme realizzate sul cammino dell’unità sono state accompagnate non da discorsi appassionati ma da un percorso concreto: ad esempio le modalità di transizione dalle monete locali all’euro vennero stabilite dal Trattato di Maastricht del 1992 relativo alla creazione dell’Unione economica e monetaria.
Oggi sarebbe quanto mai necessario definire un percorso segnato da scadenze temporali
in un documento di impegno politico, così come è avvenuto per la nascita dell’euro. Un gruppo di paesi propulsori come la Francia, l’Italia e la Spagna potrebbe prendere un’iniziativa in tal senso al fine di fare pressione sulla Germania che si è sempre opposta ad una Banca Centrale sul modello della Federal Reserve, alla creazione di un debito pubblico sovranazionale e all’emissione degli Eurobond per finanziare un grande piano di sviluppo a livello continentale.
L’Europa si trova infatti di fronte ad un bivio: o diventa realmente uno Stato federale con un bilancio, una politica estera, una politica della difesa, una politica industriale ed energetica comuni oppure è destinata a disintegrarsi sotto i colpi dei mercati finanziari.
La crisi economica, politica e sociale scoppiata nel 2007/2008 ha reso evidente come la liberazione dei movimenti dei capitali avviata negli anni ’80 abbia determinato un completo rovesciamento dei rapporti di forza sia tra capitale e lavoro, sia tra capitalismo e democrazia. Con questa crisi è crollato anche uno dei pilastri su cui si reggono la teoria neoclassica e l’ideologia liberista: il principio secondo il quale i mercati sono razionali e si autoregolano. Il mantra dell’economia, l’autoregolazione del mercato, si è dissolto improvvisamente e per molti (ma non per tutti) inaspettatamente.
Ormai è chiaro che i mercati finanziari sono meccanismi autoreferenziali che amplificano le fisiologiche fluttuazioni cicliche: essi non tendono all’equilibrio ma generano instabilità alimentando fenomeni di accumulazione “esplosiva”. Quando c’è crescita i mercati gettano benzina sul fuoco e accelerano l’espansione; quando c’è una crisi trascinano l’economia verso la depressione entrando in rotta di collisione con gli stati, con i lavoratori e con le imprese industriali, specie con quelle piccole e medie che dipendono in modo preminente dal finanziamento bancario.
Alle tendenze distruttive dei mercati finanziari si è aggiunta la sciagurata decisione di riequilibrare i bilanci pubblici che ha aggravato la fase recessiva dei paesi del Sud Europa. Di conseguenza, il sistema bancario privato ha contratto ulteriormente l’offerta di credito all’economia reale. Recessione, misure di risanamento, fughe di capitali e restrizione del credito hanno prodotto una miscela esplosiva che ha esasperato le difficoltà alimentando un circolo vizioso che potrebbe portare alla disintegrazione dell’Unione monetaria.
Il fatto è che non abbiamo più tempo: dobbiamo passare dai discorsi retorici ad azioni concrete se vogliamo salvare tutto il lavoro che ha portato alla costruzione della moneta unica europea.
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