Speranze romane

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ROMA. «Cambiare Roma per cambiare l’Italia». Una speranza che dà senso al voto che Ignazio Marino ha chiesto ieri alla piazza gremita, sotto Palazzo Farnese, attorniato dai sindaci e dagli amministratori del “nuovo corso” del centrosinistra. È già una festa, la chiusura della campagna elettorale in quell’angolo di città ai piedi dell’ambasciata di Francia, che è ormai il simbolo della lotta per i diritti civili. Perché il chirurgo Dem, che l’ha scelta anche per la sua capienza contenuta rispetto a piazza San Giovanni dove ha chiuso al primo turno, vuole dare un segnale forte ai romani e ai suoi compagni di partito: «sviluppo sociale e diritti vanno di pari passo».
Lo ricorda Giuliano Pisapia che sul palco, insieme alla romana Debora Serracchiani, «straniera» eletta governatrice della regione Friuli Venezia Giulia, al sindaco di Cagliari, Massimo Zedda, e al presidente della regione Lazio Nicola Zingaretti, rappresenta quella «grande squadra di persone che ha cambiato il modo di fare politica», come vengono presentati da Alessandra Bisotti, una dei volontari che ha seguito Marino nel faticoso tour da un capo all’altro della città. Il messaggio al Pd è talmente chiaro che in piazza non c’è tutto l’establishment, come richiederebbe una sfida così importante, anche se qualcosa in casa democratica deve essersi rimesso in moto se a stringersi attorno a Marino, l’«estremista», non c’è solo l’immancabile Guglielmo Epifani ma anche la direttrice del Maxxi, Giovanna Melandri, tanto per dirne una. E poi gli ex sfidanti Paolo Gentiloni, Umberto Marroni e Bruno Tabacci, e il capogruppo in Senato Luigi Zanda. Marino ringrazia il segretario del partito, che fin dalla sua nomina non gli ha fatto mancare il suo sostegno, e il leader del «Centro democratico». Ma l’applauso più grande lo chiede e lo ottiene dalla piazza entusiasta per «l’amico» Stefano Rodotà, che «non ha fatto in tempo a essere qui».
Il centrodestra, che «deve abbassare le penne», come dice Epifani scatenando l’ira dei Fratelli d’Italia, tenta mestamente invece di rassicurare Gianni Alemanno che chiude la sua campagna in cinque piazze, perlopiù periferiche, della città. Il sindaco uscente rivolge l’appello più accorato agli astensionisti, quel 48% che non è andato alle urne al primo turno e che ha penalizzato soprattutto la sua parte politica.
Ma l’astensione fa paura anche a sinistra. «Messaggiate, inviate mail, telefonate, fate tutto ciò che potete per portare le persone a votare», incita Debora Serracchiani felice di sostenere un altro «straniero» in patria. «Anche io, romana, come Marino, ho dovuto sopportare questo tipo di attacchi dalla destra – dice – ma non è la carta d’identità che fa un buon amministratore». È l’occasione giusta, per la governatrice del Friuli, per bacchettare il suo centrosinistra, quello che «non ha capito fino in fondo la sfida che abbiamo vinto nel profondo nord, facendo eleggere una donna». «A me questo governo non piace – continua – ma siccome è l’unico possibile, rispetto chi si è assunto la responsabilità». Epperò, «per costruire un percorso diverso», per «non perdere il nostro elettorato», bisogna «marcare quella differenza profonda che ci divide dalla destra». Zedda, come Marino, è «orgoglioso di essere un marziano». Lui, che da sindaco non dimentica come viveva da precario, trova un «comune denominatore» con chi, a Roma come a Cagliari, vuole sconfiggere «interessi corporativi, notabilati, caste, ambizioni sfrenate di gruppi e di singoli».
«Milano e Roma parleranno lo stesso linguaggio, finalmente: è da qui che si può ricominciare per cambiare il Paese». Pisapia parla di «felicità» e di «potere» ed è già tutta un’altra aria: «Ciò che ci unisce su questo palco è che amiamo la parola potere come verbo, non come sostantivo. Poter fare, poter cambiare in meglio la vita delle persone». Anche Zingaretti sogna di «aprire una fase nuova, straordinaria, di collaborazione e di unità di venute tra la Capitale e la sua regione». Per porre fine all’«unica cosa dell’amministrazione di Alemanno che ha funzionato: la politica spartitoria».
«Siamo a 72 ore dalla liberazione di Roma, ci siamo quasi», incita Marino dal palco, attorniato solo dai “volti nuovi” dell’amministrazione di centrosinistra». «Questa campagna elettorale è stata un’esperienza straordinaria», racconta il chirurgo che di Roma forse ora ha un’immagine diversa da quella che conosceva come senatore: le buche, gli autobus inesistenti, le barriere architettoniche, la povertà, i bambini e gli anziani reclusi, l’immondizia nelle strade, l’Atac, dove «Alemanno va spesso perché qui tiene famiglia», come gli raccontava un autista. E così via. «Il 9 e 10 giugno dobbiamo liberare Roma e farla tornare a sperare, respirare e sorridere», conclude. Non da solo, però. Perché, come dice l’entusiasta presentatrice, «Roma è squadra, è rete, è vita. Daje».


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