Solo 300 mila disabili lavorano: Italia peggio di Zambia e Malawi

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MILANO – Peggio di Zambia e Malawi. In Italia, trovare un lavoro per una persona con disabilità è come vincere al lotto. I fortunati sono 300 mila, il 16 per cento del totale. Nei due Paesi africani, secondo il World report on disability, gli impiegati sono rispettivamente il 45,5 per cento e il 42,3 per cento. Gli inattivi italiani tra le persone con disabilità sono l’81,2 per cento, quasi il doppio rispetto a chi non lavora nel resto della popolazione tra i 15 e i 74 anni. Dei 250 mila disabili che restano a casa, la quasi totalità è donna. Sono i dati della ricerca Reatech Italia, la rassegna di Fiera Milano dedicata alla disabilità. Per invertire la tendenza, Reatech Italia lancia, per ottobre, una tre giorni (dal 10 al 12) per far incontrare le aziende con i candidati. Ma prima è necessario cambiare la norma su “categorie fragili”, la legge 69 del 1999. Almeno questa è la posizione del 66,7 per cento dei 4 mila direttori del personale iscritti alla G.i.d.p., l’Associazione direttori risorse umane, partner di Reatech per la ricerca. Troppo facile, infatti, evitare di assumere la quota di persone appartenenti alle “categorie protette” (oltre alle persone con disabilità vedove e orfani del lavoro, per servizio, di guerra e i profughi italiani) stabilita dalla legge. L’escamotage è previsto nella stessa normativa: basta pagare 11.184 euro all’anno per ogni invalido o disabile non assunto. Per il 25,9 per cento del campione dei direttori del personale, per l’azienda è più comodo pagare questa multa piuttosto che impelagarsi nel complesso iter di assunzione di una persona con disabilità. Il principale ostacolo è proprio la selezione, che nel 32,5 per cento dei casi richiede una società esterna specializzata, mentre nel 28,35 per cento dei casi è gestita da interni. Le agenzie del lavoro la curano nel 22,45 dei casi e l’ultimo 16,33 per cento è invece svolto da strutture pubbliche.

Nulla funziona meglio della conoscenza personale del datore di lavoro, soprattutto per un candidato con disabilità. Nel 36,5 per cento delle assunzioni, infatti, il tramite è stato un parente, amico o un conoscente; per il 22,9 per cento è stato un concorso pubblico; per l’11,5 per cento un contatto precedente; per l’8,1 per cento un annuncio. Un quarto degli occupanti con limitati problemi funzionali riferisce di avere problemi nello svolgimento dell’attività lavorativa e l’11,7 lamenta contratti troppo poco flessibili, per motivi di tempo, di contratto o di ambiente lavorativo. Per le categorie protette, infatti, la possibilità del telelavoro è presa in considerazione solo nel 4,8 per cento dei casi. Centralista e receptionist sono le mansioni più frequentemente affidate a persone con disabilità (il 17,8 per cento del totale), seguiti da servizi generali (11,8) e produzione (11).

Un ultimo dato segnalato da Reatech è quello sulla possibilità di fare carriera: il 38 per cento del campione dei direttori afferma di avere trovato dei dipendenti con disabilità cresciuti di responsabilità assumendo funzioni manageriali, contro un 62 per cento che, invece, sostiene il contrario. Sui livelli retributivi, il 65,3 per cento dei direttori non ritiene che ci siano delle differenze rispetto ad altri colleghi e che, quindi, una categoria protetta in media non abbia uno stipendio inferiore. Ma secondo un 20,4 per cento di rispondenti, molto dipende dai casi e un 14,29 per cento ritiene che invece tali lavoratori ricevano delle retribuzioni più basse rispetto a chi non appartiene a categorie protette. (lb)

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