Smart city
Se volete scoprire il futuro prossimo delle nostre città, seguite le mosse di Google. Ha appena comprato Waze: è una startup israeliana che ha sviluppato una app che ti dice in tempo reale lo stato del traffico sulle strade. Come lo sa? Grazie alle segnalazioni inviate con il telefonino dagli utenti. Milioni di utenti: quasi 50 milioni in quattordici paesi, Italia compresa. Non sono solo automobilisti: sono smart citizen, ovvero sono cittadini che contribuiscono a rendere intelligenti le città. Si può fare con il traffico, con il meteo, con l’energia e persino con le prenotazioni del ristorante. Basta un telefonino.
Waze è nata nel 2008, funziona da dio e cresce a vista d’occhio. Per questo Google ha rotto gli indugi di una trattativa di cui si parla da qualche mese bruciando sul tempo Apple e Facebook. L’accordo è stato annunciato martedì, alle 6.30 del pomeriggio ora di Ra’aana, il quartier generale di Waze, una cittadina a nord di Tel Aviv, ovvero alle 8.30 del mattino a Palo Alto dove vive e lavora Noam Bardin, il capo di Waze. La startup israeliana è stata comprata per oltre un miliardo di dollari. La cifra esatta non è stata resa nota ma, per rendere l’idea, è superiore a quella impiegata recentemente da Facebook per comprare Istagram, la popolare app per condividere la fotografie scattate con il telefonino.
A prescindere da quello che accadrà adesso e dalla inevitabile integrazione con i servizi di Google Maps, si tratta di un gran colpo. Ma soprattutto è una indicazione finalmente chiara di quello che significa davvero una espressione molto di moda nel mondo politico e che solo in Europa sta trainando investimenti pubblici di centinaia di milioni di euro: “smart city”. Ecco, se la strada è quella indicata da Waze, le smart city, le città intelligenti, non saranno più il prodotto di tonnellate di tecnologia pesante per collegare migliaia di costosissimi sensori secondo un progetto deciso a tavolino da qualche ingegnere. Saranno invece città abitate da smart citizen, ovvero cittadini con un telefonino in tasca e tanta voglia di partecipare. Insomma, i sensori siamo noi. “Siamo diventati tutti macchine per produrre dati” per citare il guru Jeremy Thorp. Questo vuol dire che saremo sempre di più noi a trasmettere agli altri dati utili e geolocalizzati in tempo reale contribuendo così a rendere le nostre città intelligenti. Ovvero a funzionare meglio. Il traffico automobilistico è ovviamente un filone essenziale di una città smart: ridurlo vuol dire risparmiare tempo, carburante, emissioni di anidride carbonica. Finora l’approccio era: migliaia di sensori che mandano dati a un supercervellone centrale il quale a sua volta risponde con possibili soluzioni. Waze cambia tutto perché non parte dall’alto, dal cervellone: parte dall’automobilista. Il progetto infatti nasce perché un giovane ingegnere informatico di TelAviv, Ehud Shabtai, si rende conto che il navigatore che gli hanno appena regalato è inutile se non gli rivela anche lo stato del traffico in quel momento. Che senso ha prendere la strada più breve se poi scopri che c’è un ingorgo? E così decide di svilupparne uno che possa ricevere in tempo reale le segnalazioni di altri automobilisti. Quali segnalazioni? La velocità media su una strada, di base, ma anche la presenza della polizia, un eventuale incidente, i prezzi del carburante e così via.
Poteva restare una idea carina e basta e invece accadono due miracoli che la dicono lunga su come il web e la cultura delle rete stanno cambiando il mondo: il primo è il fatto che decine di migliaia di persone si mettono gratuitamente a disegnare le mappe stradali. Perché? Per passione, per la voglia di aiutare, per il gusto di partecipare. Oggi sono 82 mila i “map editor” di Waze. In Italia il primo editor, con il soprannome di Macneo, si mette al lavoro nell’agosto del 2009 e disegna le strade di Milano, Monza, Bergamo e Parma; quattro anni dopo i map editor italiani sono una squadra agguerrita e affiatata, ogni tanto si incontrano pure per darsi dei consigli, tutte le strade a pedaggio sono censite, le mappe sono dettagliatissime.
Il secondo miracolo è la partecipazione attiva degli automobilisti, ovvero quel desiderio di condividere le informazioni sul traffico per venirne a capo in qualche modo. Ovvero ti dico qualcosa per aiutarti a non restare imbottigliato sperando che qualcun altro faccia lo stesso con me. Non occorre avere il telefonino in mano mentre si guida, quello anzi è vietato: basta lanciare la app quando si parte e lasciarla funzionare. Waze manda i dati sullo stato della viabilità nella strada che percorriamo in modo automatico. Solo in Italia questo semplice gesto lo fanno già tre milioni di automobilisti e quindi se apri Waze in una grande città sulla mappa vedi subito quanti wazers sono attorno a te, e sono sempre decine, e se vuoi leggi i loro report. Altro che Onda Verde, lo storico notiziario di RadioRai sulla viabilità: questo è un vero tsunami di informazioni utili. C’è un problema di privacy? Non per chi lo usa evidentemente. Anzi, su Waze se uno non vuol restare anonimo c’è una specie di social network dove ogni wazers ha il suo profilo e guadagna punti inviando segnalazioni.
Accanto al traffico, stanno nascendo progetti smart di ogni tipo. Uno dei più interessanti parte dal-l’Italia e si chiama MeTwit: è una piattaforma per segnalare che tempo fa, per “taggare” la pioggia insomma. È stata lanciata nel 2011 dal trentenne Michele Ruini con tre soci di poco più di vent’anni. L’idea iniziale era un social network dedicato al meteo, ma adesso MeTwit è diventato un fornitore di dati per chiunque voglia sviluppare applicazioni con essi. La prima l’hanno sviluppata loro stessi: si chiama iMbrello, ed è un prototipo di ombrello che grazie all’uso di sensori tessili avvisa gli altri utenti quando piove, ti avverte quando nei paraggi qualcuno ha segnalato che è iniziato a piovere, e si agita quando un utente ti ringrazia perché non si è bagnato grazie alla tua segnalazione.
Il progetto più ambizioso riguarda però l’ambiente. La qualità dell’aria che respiriamo. Quella cosa per cui da qualche anno nelle nostre città ci sono decine di costose “centraline” che rivelano il livello di inquinamento in modo che quando si supera una certa soglia i sindaci bloccano la circolazione delle auto. Solo che le centraline sono poche. Ecco, a Barcellona hanno inventato un kit per cui ciascuno può mettersi in casa un sensore ambientale e mandare i dati ad una piattaforma globale che mostra a tutto il mondo lo stato della qualità dell’aria in quel preciso istante (non solo anidride carbonica e polveri sottili ma anche temperatura, luce, rumore e umidità). Il progetto è già operativo: nel 2009 è partito, presso l’Istituto di Architettura Avanzata; 150 sensori sono stati distribuiti in città per vedere che succedeva e la cosa ha avuto talmente successo che i ricercatori hanno deciso di scalare il tutto a livello mondiale. I 50 mila euro necessari a completare lo sviluppo li hanno chiesti via web, utilizzando la piattaforma Kickstaster: già 350 persone hanno dato il loro contributo (minimo un dollaro) e manca davvero poco al traguardo ma solo altri tre giorni per partecipare. Come si chiama il progetto? Naturalmente Smart Citizen.
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