Siria, Putin impone la sua linea al G8 nel documento niente bando ad Assad

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LONDRA — Erano in sette contro uno, ma non sono riusciti a prevalere. Il vincitore morale del G8, perlomeno sulla Siria, è Vladimir Putin. Nonostante ripetute pressioni, in particolare da parte di Barack Obama e del padrone di casa David Cameron, il presidente russo ottiene un comunicato finale che non fa alcun cenno all’esigenza che Bashar Assad lasci il potere. Il summit produce un appello a una conferenza di pace da tenersi a Ginevra, senza fissarne la data, a cui dovranno partecipare sia i rappresentanti dei ribelli, sia quelli del regime di Damasco. Il veto di Mosca, un “nyet” ostinato, come ai vecchi tempi dell’Urss comunista, costringe gli altri sette grandi ad annacquare la risoluzione conclusiva. Come sempre ai vertici, tutti ora cercano di dare un’interpretazione positiva, evitare che si parli di fallimento: ma dietro le quinte il dissidio sulla Siria lascia l’amaro in bocca. E potrebbe introdurre un’incognita sul senso di un organismo che non riesce a produrre accordi e provvedimenti su questioni simili.
«Siamo riusciti a superare le divergenze fondamentali», dice Cameron alla fine, ma non pare proprio così. La conferenza di pace dovrà svolgersi, afferma il comunicato, «appena possibile», ma non viene fornito un calendario. La dichiarazione non menziona che ruolo avrà in futuro Assad: scompare ogni riferimento all’obiettivo di rimuoverlo dal potere. Come voleva Putin. Il comunicato condanna l’uso di armi chimiche in Siria, ma non accusa il regime di averle usate – e secondo
Mosca è falso che le abbia usate, le accuse sarebbero una “invenzione” dei servizi segreti occidentali. Quelle accuse sono la ragione che spinge Usa, Gran Bretagna e Francia ad appoggiare l’invio di armi ai ribelli, ma il ministro degli Esteri russo Lavrov ammonisce: «Le armi potrebbero finire in mano ad Al Qaeda ed essere usate contro l’Europa, pensateci bene prima di dargliele». Putin si augura che dalla conferenza di pace esca un governo di transizione siriano rappresentativo di tutte le parti in causa, dunque anche del governo. Fonti americane mettono l’accento sul fatto che la Russia vuole la stabilità in Siria, e questo non significa necessariamente che Assad debba restare al suo posto: poiché è impensabile che i ribelli possano accettare un governo di transizione di cui faccia parte il presidente siriano, tale posizione viene vista come un’apertura di Mosca alla sua uscita di scena. Ma è un’apertura ancora da dimostrare. Di certo, per ora, c’è che Putin l’ha avuta vinta. Più delle parole dei comunicati, valgono la sua faccia e quella di Obama nel colloquio bilaterale: da molto tempo non trapelava tanta freddezza fra i leader di Casa Bianca e Cremlino.
«Tutti vogliamo la fine del conflitto», osserva Cameron, consapevole di avere a sua volta problemi a convincere l’opposizione interna ad armare i ribelli. «Ci sarà un’indagine Onu sulle armi chimiche, anche Putin l’ha sottoscritto, abbiamo mandato un segnale chiaro ai siriani», insiste il premier britannico. Concorda Enrico Letta: «Si è fatto un importante passo avanti». Ma i veri passi avanti fatti al vertice sembrano essere in altre direzioni, per quel che riguarda gli affari internazionali: l’accordo a non pagare riscatti per rapimenti da parte di terroristi e pirati (in particolare in Africa); e la Libia. Il G8 ha chiesto proprio all’Italia di coordinare un incontro con il premier libico Zeidan e il nostro presidente del Consiglio si è impegnato a un ruolo «molto attivo» per rafforzare le istituzioni del governo di Tripoli e dotarle di una guardia costiera, un tema «assai importante » per l’Italia, evidentemente nell’ambito delle immigrazioni illegali. «Gli altri paesi ci hanno chiesto un ruolo di prima fila», conclude Letta, «e noi non ci tireremo indietro».


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