Se J.P. Morgan vuol cambiare la Costituzione

by Sergio Segio | 22 Giugno 2013 17:17

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Questi giudizi sono contenuti nel documento del 28 maggio 2013 del thinktank della J.P.Morgan, una delle due più potenti banche private del mondo. Secondo questo documento la presenza di Costituzioni che «mostrano una forte influenza delle idee so cialiste» costituisce il maggior ostacolo all’integrazione dei Paesi del Sud nell’area europea. Pensate che in questi Paesi sono previste «tutele costituzionali dei diritti dei lavoratori» e «la licenza (sic) di protestare se vengono proposte sgradite modifiche del lo status quo». Gli esecutivi sono stati così «limitati nella loro azione dalle Costituzioni (Portogallo), dalle autorità locali (Spagna), e dalla crescita di partiti populisti (Italia e Grecia)».
Solo il Wall Street Journal ha pubblicato il testo, il Financial Times ne ha accennato senza entrare nei dettagli, ora lo si trova nei siti. Al documento, che esprime quello che l’élite finanziaria internazionale pensa dav vero, non si è voluto dare troppo rilievo. Ma esso esprime un dato purtroppo reale e in atto, che parte da lontano. Già negli anni Settanta la Trilaterale aveva pubblicato un rapporto nel quale si denunciava l’eccesso di democrazia. E oggi assistiamo al progres sivo svuotamento dei poteri dello Stato na zionale, che incontra però il limite delle Costituzioni. Queste sono quindi diventate il nemico da abbattere.
È bene ricordare ai consulenti della gran de finanza che l’orientamento costituziona le espresso nei testi da loro citati è comune a tutti i Paesi dell’Occidente nella fase storica definita «l’Età dell’oro» da Hobsbawm. La Costituzione tedesca del 1947 (anche lì «purtroppo» non c’era più il Nazismo) è mol to simile a quella dei Paesi mediterranei: c’è scritto che «la proprietà obbliga», e il princi pio dello stato sociale è sancito, ed è stato dichiarato immodificabile dalla Corte costi tuzionale di quel Paese. Negli Stati Uniti, la Corte suprema approvò le leggi sociali del New Deal e poi le garanzie dei diritti civili. Per merito di queste Costituzioni, l’Età dell’Oro fu segnata da un progresso che fu insieme economico, sociale e di civiltà dei diritti. In Italia abbiamo avuto il miracolo economico, il divorzio e il nuovo diritto di famiglia, lo stato sociale, lo Statuto dei lavo ratori. Era l’epoca del compromesso tra ca pitale e lavoro. Conflitto politico e sociale, e poi sintesi. Ma successivamente, come ha detto il miliardario americano Warren Buffet,«la lotta di classe l’abbiamo vinta noi». Oggi il problema, ci dicono da J.P. Mor gan, è la democrazia. Si delinea quello che è stato definito «l’autoritarismo liberista», che ha le sue radici nell’ultima fase della Germania di Weimar. La storia non si ripe te mai nello stesso modo, ma resta maestra di vita.
Oggi si discute della riforma della Costituzione italiana. Per fortuna, per ora nessuno ne mette in discussione la prima parte, quel la dove sono le norme che turbano i banchie ri di Wall Street e non solo loro.
Ma al di là del legittimo dibattito tra con servatori e innovatori, bisogna cominciare a chiedersi se non è venuto il momento di prendere sul serio ciò che in quella prima parte è scritto. Per esempio che il lavoro è un diritto di tutti, che la Repubblica deve promuovere le condizioni per renderlo ef fettivo, che il lavoratore ha diritto ha una retribuzione sufficiente a una esistenza libe ra e dignitosa. Si diceva un tempo: politiche per la piena e buona occupazione.

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