Scuola, Italia ancora maglia nera per l’Ocse: “Dal 1995 siete gli unici a tagliare risorse”

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L’OCSE bacchetta l’Italia su scuola e università, anche se si intravede qualche piccolo progresso rispetto agli ultimi anni. L’ultimo report sull’istruzione dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, pubblicato questa mattina, assegna un’immancabile maglia nera all’Italia per diversi aspetti. Nel nostro paese ci sono gli insegnanti più anziani e tra i meno pagati dei paesi Ocse ed europei. La scuola ha subito una vera e propria cura da cavallo e mancano laureati e risorse che invece gli altri paesi, nonostante la crisi, hanno destinato al sistema di istruzione. Ma andiamo con ordine.

Questa mattina l’istituto di Parigi ha pubblicato “uno sguardo sull’istruzione 2013” che mette in evidenza tutte le pecche del sistema formativo nostrano. Bastano poche righe per comprendere la distanza siderale che intercorre tra la politica italiana, in termini di formazione delle nuove leve, e quella dei paesi più avanzati. “L’Italia è l’unico paese dell’area dell’Ocse che dal 1995 non ha aumentato – scrivono gli esperti dell’organizzazione internazionale  –  la spesa per studente nella scuola primaria e secondaria. All’opposto, nello stesso periodo i Paesi dell’Ocse hanno aumentato in media del 62 per cento la spesa per studente negli stessi livelli d’istruzione”.E se si passa al settore universitario le cose non cambiano molto. “Negli ultimi 15 anni  –  continuano dall’Ocse  –  la spesa per studente di livello terziario è cresciuta del 39 per cento, registrando un aumento ben superiore alla media Ocse del 15 per cento. Tuttavia, tale aumento è ampiamente riconducibile a quello dei finanziamenti provenienti da fonti private. Ciononostante, la spesa per gli studenti di livello terziario (9.580 dollari Usa equivalenti) continua a essere ben inferiore alla media dell’area dell’Ocse (13.528 dollari Usa equivalenti)”.

In altre parole, i paesi più avanzati per restare sul mercato investono sull’istruzione universitaria che in Italia mostra un gap, in termini di spesa per studente, del 30 per cento rispetto ai paesi più avanzati.In appena 6 anni, “tra il 2005 e il 2011, l’Italia ha conseguito risparmi nei settori dell’istruzione primaria e secondaria di primo grado aumentando il numero di studenti per insegnante” avvicinandosi “alla media internazionale, con un moderato aumento del numero di ore annue d’insegnamento per gli insegnanti, e con una simultanea diminuzione delle ore di istruzione per gli studenti”. Una operazione che raccoglie il plauso degli esperti Ocse. “Si potrebbe pensare che una tale misura avrebbe potuto nuocere alle opportunità di apprendimento degli studenti, ma fin qui, tali risparmi sull’istruzione scolastica non hanno compromesso i risultati dell’apprendimento degli studenti: gli esiti per gli studenti quindicenni nella valutazione Pisa 2009 sono risultati stabili” in lettura e addirittura sono migliorati in matematica e in scienze.”Di conseguenza  –  concludono  –  il sistema sembra essersi diretto verso una migliore efficienza nell’uso delle risorse”. Ma per il resto è un mezzo disastro. I laureati italiani continuano ad essere troppo pochi: il 15 per cento della popolazione di età compresa fra 25 e 64 anni, contro una media Ocse del 32 per cento. “I tassi d’ingresso all’università sono aumentati all’inizio degli anni 2000 ma dati più recenti indicano che una parte di tale aumento sia stata solo temporanea”. Nel 2006 erano 56 su cento i diplomati che continuavano a studiare all’università, nel 2011 siamo scesi al 48 per cento. A livello Ocse siamo al 60 per cento. Inoltre, tra il 2003 e il 2009, i quindicenni italiani che speravano di conseguire una laurea sono scesi di 11 punti: dal 52 al 41 per cento. Quanto basta, per avviare una seria riflessione sul futuro, anche economico, dello Stivale.

Per la senatrice del Pd, Francesca Puglisi, capogruppo in commissione Istruzione, occorre “raddoppiare il numero dei laureati e dimezzare la dispersione scolastica entro il 2020. Nella contrazione del numero dei giovani intenzionati ad entrare nelle università emerge, purtroppo, tutta la crisi di fiducia che stanno vivendo i giovani italiani”, continua la Puglisi. “I dati contenuti nel rapporto Ocse  –  dichiara Massimo Di Menna, della Uil scuola  –  confermano quanto ripetiamo da tempo: una spesa per l’istruzione che non cresce, retribuzioni tra le più basse d’Europa, risultati nell’apprendimento che permangono di buon livello grazie all’impegno professionale degli insegnanti alle prese con classi sempre più numerose”. “Non si tratta di prendere atto della situazione  –  aggiunge Di Menna  –  ma di assumere responsabilità nelle scelte” con “interventi da fare subito”.


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