Scontri e due morti, l’Egitto nel caos
GERUSALEMME — La tensione in Egitto a tre giorni dalle grandi proteste annunciare dal movimento Tamarod — i ribelli — contro il presidente islamista Mohammed Morsi per chiedere le sue dimissioni, a un anno esatto dalla sua elezione, ha già raggiunto un pericoloso livello di guardia. Ieri sera a Mansoura — città del Delta del Nilo — i manifestanti pro e anti Morsi si sono affrontati a colpi di bottiglie molotov e sassaiole nelle strade del centro. Un primo bilancio parla di due morti e oltre 170 feriti negli scontri.
Nel timore che il contagio della violenza possa estendersi anche alle altre città dell’Egitto l’esercito ha iniziato schierarsi nei principali centri del Paese. Ieri, per la prima volta dalla rivoluzione del 2011, elicotteri da combattimento “Apache” hanno sorvolato sia la capitale che Alessandria, seguiti subito dopo da uno stormo di caccia F-16, in una evidente dimostrazione di forza e presenza che l’Esercito — l’ultima “istituzione” ancora funzionante in Egitto e non delegittimata — intende dare in una situazione che rapidamente potrebbe derivare verso il caos. Il ministro della Difesa, il generale El Sissi, ha già annunciato nei giorni scorsi che l’Esercito «non permetterà che il Paese possa di nuovo cadere in una spirale di violenze».
Domani i sostenitori di Mohamed Morsi torneranno in piazza in Egitto per dimostrare il proprio appoggio al presidente. Un gruppo di partiti islamici sta rivolgendo appelli alla popolazione affinché l’iniziativa si trasformi in una nuova “marcia di un milione di persone” nelle strade della capitale. La manifestazione si svolge ad appena due giorni da quella contro il presidente organizzata domenica dall’opposizione che ha raccolto quasi 15 milioni di firme per le dimissioni di Morsi, ribadiscono che le marce in tutte le città saranno pacifiche e rinnovano le loro altre rivendicazioni: elezioni presidenziali anticipate, governo tecnico e sospensione della Costituzione islamista fatta approvare da Morsi con una sorta di golpe istituzionale.
In una sorta di “ultimo avvertimento” lanciato alla Fratellanza musulmana e alle opposizioni il ministro della Difesa Abdel Fatah El Sissi ha messo in chiaro domenica scorsa che l’esercito non rimarrà silenzioso a guardare il Paese cadere in un «conflitto incontrollabile » anche se finora si è tenuto fuori dalla politica. Oltre al vuoto istituzionale — il Parlamento è stato sciolto dalla Corte Costituzionale — l’Egitto affronta una gravissima crisi economica. Le casse dello Stato sono vuote, non c’è valuta per comprare beni e materiali all’estero, forniture straordinarie di grano sono state inviate dagli Stati Uniti per evitare che il Paese precipiti in una “jaquerie”, una rivolta cieca, violenta e devastante contro tutti e tutto. Da settimane nella capitale e nelle grandi città c’è penuria di farina, stanno chiudendo le farmacie, la benzina è stata razionata nella vendita e solo qualche stazione è in grado di offrire rifornimenti. I carri armati Bradley AM-1schierati ieri sera nelle grandi arterie che portano verso il centro del Cairo, sotto il cannone avevano appesi degli striscioni che annunciavano che “L’esercito difende il popolo”, un impegno che appare sotto molti aspetti ambiguo e tardivo.
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