by Sergio Segio | 28 Giugno 2013 7:58
Gli accordi definiscono le procedure generali a cui gli stati nazionali, la Bce, ed eventuali altri organismi di supervisione bancaria dovranno attenersi in caso una banca stia per fallire.
Una definizione di nuove procedure a questo proposito si è resa necessaria con il passaggio a livello europeo delle competenze riguardo alla supervisione e controllo delle banche. La discussione all’Ecofin, pare anche veemente, ha riguardato il grado di discrezionalità da accordarsi agli stati membri in queste procedure. La Francia, la Svezia, e anche l’Italia richiedevano maggiore flessibilità di intervento, mentre Germania e Olanda, soprattutto, erano a favore di regole prestabilite. Il compromesso raggiunto prevede un intervento automatico a copertura delle passività su azionisti, detentori di titoli e depositanti con depositi superiori a 100 mila euro (i depositi di entità inferiore sono assicurati) e in subordine un intervento discrezionale dei governi nazionali. L’intervento automatico sarebbe dell’8% e quello discrezionale del 5%.
Per quanto queste possano apparire questioni squisitamente tecniche, esse costituiscono invece uno dei blocchi fondamentali su cui reggerà o meno la tenuta del sistema finanziario dell’euro. Partiamo da due premesse generali. La prima è che un’economia di mercato come quella europea abbisogna di un sistema finanziario efficiente che allochi capitale alle imprese produttive, distribuisca il rischio tra famiglie ed imprese, produca liquidità, e così via. Al di là della retorica spiccia dell’economia di carta che distrugge l’economia reale, senza di questo il sistema economico si inceppa. Basti guardare alla situazione oggi e a quanto la mancanza di prestiti dal sistema bancario alle piccole e medie imprese stia danneggiando il nostro sistema produttivo e aggravando la recessione.
La seconda premessa è che una economia di mercato è più efficiente se più dirette sono le responsabilità finanziarie di chi prende decisioni. Questo è un precetto generale che forse è più chiaro se espresso in una sua forma alternativa: sistemi economici di mercato in cui i profitti sono privati e le perdite socializzate non sono affatto efficienti. Ebbene, questa è esattamente la situazione in cui ha operato fino ad oggi il sistema finanziario dell’Eurozona. I salvataggi delle banche in Europa dal 2008, cioè le perdite socializzate a spese dei contribuenti, sono ammontati a 1.600 miliardi di euro. E non sono serviti a granché se le banche sono – come sono – in larga parte ancora gravemente sottocapitalizzate.
Si capisce allora come un meccanismo per costringere azionisti e altri creditori a coprire eventuali passività del sistema bancario sia di per sé un grosso passo avanti. Si capisce anche come la posizione tedesca e olandese fosse da preferirsi. L’incapacità dei governi nazionali (incluso quello tedesco) ad agire nei confronti delle proprie banche secondo principi di razionalità economica è un fatto facilmente documentabile. Lo spostamento delle funzioni di vigilanza e controllo all’Europa è da intendersi proprio come un tentativo di spezzare il più possibile questo rapporto incestuoso tra banche e governi nazionali. A questo proposito, la dipendenza della governance delle banche italiane dalle Fondazioni bancarie (luogo principe di scambio tra politica ed economia) è un vulnus responsabile per larga parte dell’inefficienza del sistema bancario italiano. Ma, per una volta, il problema non è solo italiano. In Spagna le banche maggiormente in crisi sono le casse di risparmio (o le banche create dalla fusione di diverse casse di risparmio) i cui consigli di amministrazione sono controllati da politici locali. In Germania, una regolamentazione che limita l’operatività e la competizione di banche cooperative/popolari e casse di risparmio a livello territoriale è fonte di dipendenza del credito dal ciclo elettorale. Per non parlare dell’inefficienza e della crisi delle Landesbank, partecipate di casse di risparmio e del governo del Land (regione) di riferimento.
Vi è un altro problema con la flessibilità voluta e ottenuta da parte di Francia, Svezia e Italia. Essa porta incertezza (chi beneficierà di quel 5% di intervento discrezionale?) e l’incertezza è pericolosissima sui mercati finanziari che si muovono con grande velocità e sono proni a attacchi di panico inconsulti. Ciononostante io tendo a vedere il bicchiere mezzo pieno in questo accordo. Non è chiaro se l’8% di intervento automatico sarà sufficiente, ma si potrà ricalibrare. L’introduzione del principio che azionisti e creditori (fatti salvi i depositi assicurati) debbano essere i primi responsabili delle passività delle banche (come lo sono delle imprese) e il principio che anche le banche possano fallire ed essere ricapitalizzate in modo ordinato è però davvero una rivoluzione.
Perché la rivoluzione sia completata sarebbe però necessario che i paesi Ue accettassero una ulteriore fondamentale perdita di sovranità nazionale rispetto al sistema bancario, permettendo la costruzione del cosiddetto “meccanismo unico di risoluzione” che permetterebbe ad una autorità centrale europea (forse Bce?) di ordinare la ristrutturazione, la liquidazione, la ricapitalizzazione di una banca sulla base delle indicazioni della vigilanza. A questo meccanismo sono invece i tedeschi ad opporsi, con argomenti flebili e improntati alla difesa dell’anello debole del proprio sistema bancario.
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