Pagamenti, lo Stato accumula arretrati I primi rimborsi alle imprese iniziano ora

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Abbiamo cominciato a svuotare un mare, i debiti arretrati della pubblica amministrazione. E il decreto che sblocca i pagamenti, convertito in legge giusto una settimana fa, non è il metaforico cucchiaino. Le prime fatture sono state saldate, la marea sta scendendo anche se molti dicono che si poteva fare di più. Il vero guaio è che mentre tutti guardiamo indietro, davanti a noi sta salendo il livello di un altro mare. La pubblica amministrazione sta maturando nuovi debiti nei confronti delle aziende. I contratti firmati dal primo gennaio 2013 dovrebbero essere pagati entro 30 giorni, 60 in alcuni casi, come stabilito dalla direttive europea che l’Italia ha recepito a novembre. Doveva essere una «rivoluzione», come la definì il ministro Corrado Passera. Un modo per impedire una volta per tutte quei ritardi (saldiamo a 170 giorni, il triplo della media Ue) che tolgono il poco ossigeno rimasto alle nostre aziende. Anche perché chi sfora subisce una nuova pesante sanzione, 8 punti di interesse in più rispetto allo standard. E invece, almeno per il momento, quella legge sembra rimasta sul piano delle buone intenzioni.

Un dato preciso e complessivo non c’è ma questo non ridimensiona l’allarme. Anzi, è la prima spia che si accende. Se è per questo non sappiamo nemmeno a quanto ammonti esattamente il debito arretrato, il mare che abbiamo cominciato a svuotare. La Banca d’Italia ha parlato di 91 miliardi di euro, ma la stessa Ragioneria generale dello Stato ha ammesso che una quantificazione può «essere effettuata esclusivamente per stime» perché «le informazioni riportate nei bilanci non sempre consentono una valutazione (anche approssimativa)». Caos. Magari calmo, ma comunque caos. Figuriamoci se esiste una cifra precisa del nuovo debito. Eppure basta chiedere agli imprenditori per avere la stessa, sconfortante, risposta. Confartigianato ha messo su un osservatorio proprio per misurare gli effetti della nuova direttiva: «Il risultato è che non è cambiato praticamente nulla» dice il presidente Giorgio Merletti. «La situazione non è migliorata affatto, anzi in alcuni casi è addirittura peggiorata» aggiunge Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria. Loro hanno a che fare con i peggiori pagatori d’Italia, le asl, 300 giorni di media con punte di tre anni in Calabria. E perché le cose sono peggiorate? «Alcune asl, in attesa del decreto che sbloccava gli arretrati, hanno fermato del tutto le nuove pratiche». Alla fine di marzo 2013 il debito delle asl nei confronti delle aziende del settore era di 4 miliardi di euro. Quasi la metà della torta, 1,7 miliardi, riguarda contratti firmati dopo il primo gennaio, spiega Farmindustria. Il nuovo debito, appunto.

Uno potrebbe pensare che gli imprenditori tirano acqua al loro mulino, perché a furia di lamentarsi alla fine qualcosa si ottiene. Insomma. Adesso a parlare è chi sta dall’altra parte della barricata, Catiuscia Marini, governatore dell’Umbria e presidente vicario della commissione Sanità nella conferenza delle Regioni. «Ma voi credete che se una asl avesse liquidità preferirebbe non pagare, così, tanto per fare un dispetto?». Il punto è che i soldi in cassa non ci sono. Alcune Regioni hanno già dichiarato di non farcela, mettendo in conto la sanzione degli 8 punti di interesse in più. Il Lazio prevede per quest’anno il pagamento a 120 giorni, con la rinuncia delle imprese agli interessi maturati, clausola a forte rischio impugnazione. Il governatore Roberto Cota ha detto che il Piemonte scenderà a 60 giorni solo nel 2014. Ci sono anche casi virtuosi, come l’Umbria, ma in generale sono tutti in ritardo. Perché? Ancora la governatrice Marini: «I soldi arrivano alle asl in modo macchinoso e incerto. Ogni anno viene fissato il fondo sanitario nazionale, che poi deve essere diviso fra le Regioni. Servirebbe una programmazione spalmata su più anni. E poi come fanno le asl ad essere puntuali se ogni anno quel fondo viene tagliato in corso d’opera, del 5% l’anno scorso, del 10% quest’anno?».

Il problema non tocca solo la sanità. Per tutte le altre spese lo scoglio si chiama patto di stabilità. I Comuni che violano i limiti di spesa imposti per rispettare i parametri di Bruxelles si vedono bloccare le assunzioni e l’indebitamento, la spesa corrente viene congelata al livello degli ultimi tre anni e anche le indennità degli amministratori vengono tagliate del 30%. Sanzioni più pesanti, forse anche più sensibili, di quegli 8 punti di interesse in più rifilati a chi sfora i tempi. «Da una parte si dice pagate subito, dall’altra non pagate – afferma ancora la presidente umbra – tutte e due le cose insieme non si possono fare. E allora molti scelgono il male minore». Cioè rispettare il patto di Stabilità e non pagare. Forse, per riprendere fiato, si potrebbe accelerare sul saldo degli arretrati come invoca da tempo il presidente di Confartigianato, Merletti: «Pagare subito l’80% del totale, 75 miliardi invece dei 40 in due anni previsti dalla legge. Sono già messi a bilancio, non farebbero crescere il deficit». Ne avevano parlato anche il vice presidente della commissione europea, Antonio Tajani, e il responsabile degli Affari economici, Olli Rehn. Ma per ora non se ne è fatto nulla. Non resta che consolarci con la provincia di Varese. Al momento è l’unico caso in cui il debito arretrato risulta già saldato per intero: tre milioni e 937 mila euro a martedì scorso. Anzi, l’Unione delle province è l’unica a tenere il conto di come procede lo smaltimento arretrati. Su 20 amministrazioni, i pagamenti coprono già il 70% dei debiti. E poi dicono che le vogliono abolire.

Lorenzo Salvia


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