Milioni di americani sotto controllo
NEW YORK — Controlli di un’ampiezza senza precedenti sui telefoni americani: per la prima volta viene alla luce che i dati di tutte le chiamate, anche quelle all’interno degli Stati Uniti, devono essere forniti dai grandi operatori di telecomunicazioni alla National Security Agency (Nsa), l’agenzia federale che ha la supervisione di tutte le attività di spionaggio, comprese quelle della Cia. Ma, dopo la pubblicazione della notizia da parte del britannico Guardian e le prime ammissioni ufficiose della Casa Bianca, ecco il colpo di scena: «È così ormai da sette anni ed è tutto regolare» dicono, all’unisono, i responsabili delle commissioni di controllo dei servizi segreti del Congresso: la senatrice democratica Dianne Feinstein e il senatore repubblicano Saxby Chambliss. Passano alcune ore e si aggiunge la rivelazione del Washington Post: dal 2007 Nsa ed Fbi raccolgono dati provenienti dai server di nove società Internet Usa (Microsoft, Yahoo, Google, Facebook, PalTalk, AOL, Skype, YouTube, Apple) nell’ambito di un programma top secret, nome in codice «Prism», che utilizza audio, video, foto, email, chiavi d’accesso. E in un durissimo editoriale il New York Times scrive: «Abuso di potere che richiede vere spiegazioni. L’Amministrazione Obama ha perso ogni credibilità».
Parlamento per una volta compatto nel sostenere le scelte di sicurezza del governo: «C’è molta gente che cerca di colpire l’America, il terrorismo è una minaccia costante — spiega la Feinstein —. È il motivo per cui l’Fbi ha ormai diecimila agenti impegnati nella sorveglianza antiterrorismo. Sono cose che servono a sventare gli attacchi prima che avvengano: è un’attività che si chiama proteggere l’America». Si fa sentire anche il presidente della commissione Intelligence della Camera dei rappresentanti, Mike Rogers: «Negli ultimi anni questo programma è stato utilissimo per bloccare gli attacchi al nostro Paese. Lo sapevamo, è una cosa legale e di grande valore».
Il caso esplode all’alba con la pubblicazione sul sito del giornale britannico del testo integrale di un ordine segreto della Foreign Intelligence Surveillance Court (la magistratura che sorveglia le attività antiterrorismo e quelle di intelligence del governo) a Verizon, uno dei quattro giganti delle telecomunicazioni americane: l’obbligo di fornire per tre mesi, dal 25 aprile al 19 luglio, tutti i dati sulle telefonate. Non solo quelle provenienti o destinate all’estero, come nel caso che venne fuori durante la presidenza Bush (criticatissimo dai democratici), ma per tutte le chiamate, comprese quelle interne. La Casa Bianca ammette subito, attraverso un anonimo funzionario dell’amministrazione Obama, che sono stati effettivamente emanati ordini di questo tipo. Non dice se oltre a Verizon siano interessate anche le altre compagnie (AT&T, Sprint, T-Mobile), né specifica la durata dei controlli, ma chiarisce che la raccolta di un enorme volume di dati sulle conversazioni (esclusa, però, la registrazione del loro contenuto), è «necessaria per proteggere gli americani da possibili attacchi terroristici».
Nulla di illegale: azioni di questo tipo sono possibili in base al Patriot Act, votato dal Congresso dopo l’attacco di Al Qaeda dell’11 settembre 2001. La procedura rimane, per ovvi motivi, segreta, ma ci sono più livelli di autorizzazione e controllo. L’anonimo portavoce della Casa Bianca spiega che i dati richiesti riguardano provenienza e destinazione di ogni chiamata sia da telefono fisso che cellulare e la sua durata, ma non il contenuto della conversazione né l’identificazione di chi ha risposto a una determinata utenza. La stampa entra subito in agitazione: da qualche settimana c’è tensione tra l’amministrazione Obama e il sistema dei media per le intercettazioni segrete disposte all’Associated Press e alla rete televisiva Fox, dopo che queste organizzazioni giornalistiche hanno pubblicato o trasmesso servizi contenenti notizie che avrebbero dovuto rimanere segrete. Si comincia a parlare subito di un presidente che continua ad allargare il raggio dei controlli e delle interferenze sui media. Altri si chiedono il perché di un intervento di sorveglianza iniziato il 25 aprile, pochi giorni dopo le bombe di Boston: una caccia ai complici dei fratelli Tsarnaev?
La sortita dei leader del Congresso, però, toglie drammaticità alla vicenda: «Per quello che capisco — dice la Feinstein — si tratta del rinnovo trimestrale di controlli che vanno avanti ininterrottamente da sette anni e che sono stati molto efficaci». I parlamentari non ne possono parlare perché sono tenuti a rispettare il segreto in materia di sicurezza dello Stato, ma sono stati informati e hanno verificato che nessun cittadino onesto è stato danneggiato. Le decisioni vengono poi formalmente prese da un organismo diverso dal governo: una Corte federale, anche se si tratta di una magistratura speciale, anch’essa segreta, che si occupa di problemi di intelligence. Tutto regolare, insomma. Salvo la scoperta che la privacy dei cittadini Usa è ancora inferiore a quella già ridotta di cui si era parlato finora. E la consapevolezza che la segretezza dell’operazione è finita con la pubblicazione sui giornali.
Massimo Gaggi
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