Ma i nuovi paradisi delle tasse stanno in Eurolandia

by Sergio Segio | 22 Giugno 2013 17:48

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ROMA — Niente più Cayman, Isole Vergini o Antigua. I paradisi fiscali ora sono più vicini. L’evasione internazionale ha cambiato mete: i luoghi dove investire per sfuggire alla pressione del Fisco italiano sono alla porta accanto. L’ultimo caso è quello dell’Api accusata di avere evaso il fisco grazie alla creazione di società in Lussemburgo e alle Bermuda. Prima ancora c’era stata la Bulgari il cui patrimonio è finito sotto sequestro per frode fiscale(l’accusa è che abbiano spostato fittiziamente la sede in Irlanda).
Casi illustri, paradigma di un fenomeno che si sta facendo largo, come emerge dai dati della Guardia di Finanza. Protagonisti spesso sono i grandi gruppi (si tratta di manovre costose) che cercano all’estero, meglio se in Europa, magari non proprio un paradiso fiscale ma un luogo in cui la pressione tributaria sia inferiore rispetto a quella italiana. Una strategia che aggira i limiti imposti con la normativa sulla tassazione dei dividendi provenienti da Paesi a fiscalità privilegiata. Misura che, di fatto, ha tagliato fuori i paesi della black-list a favore di altri, “censiti”, in cui le tasse si pagano con aliquote molto inferiori a quelle dell’Italia. Irlanda, Olanda, Belgio, Inghilterra, Svizzera, Lussemburgo. Nazioni per le quali tocca a chi sospetta un’evasione dimostrare che all’estero c’è solo una scatola vuota e che quindi le tasse vanno pagate in Italia. Cosa che non accade per i paradisi fiscali per i quali, invece, vige la presunzione di “evasione”.
Addio Cayman. I dati delle Fiamme Gialle parlano chiaro: le triangolazioni con i Paesi offshore sono in calo. Nel 2012 i milioni di euro recuperati sono stati 1,634 (pari al 9,56% del totale delle evasioni internaziorecuperato nali accertate e sanzionate), mentre solo l’anno prima erano stati 6,325 milioni (57,77 per cento. Meglio guardare più vicino, trasferire la sede dell’azienda a Dublino e pagare il 12,5 per cento di tasse sui dividendi. Ecco così che nei dati della Finanza, che nel 2012 ha due milioni di euro (pari all’11,6 per cento dell’evasione internazionale accertata), spuntano le mete più “ambite”: Lussemburgo (12,81 per cento dei casi scoperti nel 2012), Irlanda (8,13 per cento), Svizzera (6,20) e Gran Bretagna (5,65). Lo fanno le persone (in Inghilterra, ad esempio, la tassazione per gli stranieri è molto bassa) e lo fanno le aziende, facendo credere che l’attività si sia trasferita mentre, in realtà, si apre solo un “ufficio”. Ne escono architetture societarie complicate che, per gli inquirenti, spesso hanno alle spalle studi di commercialisti. D’altronde più sono i passaggi, più è difficile scoprire in quale paese si debbano pagare le tasse.
Un giochetto che ha il suo rovescio delle medaglia: aziende estere che pur avendo una sede che opera e produce redditi nel nostro Paese, finge di non averne. Un caso che ha fatto clamore è stato quello di Google. È stato questa la modalità di evasione che l’ha fatta da padrone nel 2012. Le “stabili organizzazioni non dichiarate in Italia di società estere”, così vengono definite dagli investigatori, sono quasi l’80 per cento dei casi per un recupero di 13.480 milioni.

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