L’uomo che ricominciava a vivere ogni 30 secondi

by Sergio Segio | 8 Giugno 2013 23:00

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Immedesimiamoci per un momento, come in un suo giorno ordinario, con Henry Molaison, noto per decenni agli studiosi delle neuroscienze cognitive come HM. Abbiamo intatte intelligenza, percezione e comprensione del linguaggio; ma abbiamo perduto la memoria. Si badi bene, non quella che ci fa ricordare eventi, fatti e conoscenze che risalgono a mesi o anni addietro, bensì la memoria di qualsiasi cosa che sia accaduta appena trenta secondi fa. Quindi, l’articolo che abbiamo appena letto in questo supplemento è già svanito e tra un momento svanirà per noi perfino l’attacco di questo stesso articolo. Permanent Present Tense, «L’eterno presente», titolo del recentissimo libro di Suzanne Corkin, professoressa emerita di neuroscienze al Massachusetts Institute of Technology, riassume il vissuto di HM.
La Corkin ha esaminato questo straordinario paziente per oltre quarant’anni, sottoponendolo — con sua immancabile buona volontà — a un’enorme e variatissima serie di test. Nel lontano 1953, all’ospedale di Hartford, Connecticut, il povero Henry, allora ventisettenne e affetto da frequentissime e incurabili crisi epilettiche, venne sottoposto, con il suo pieno consenso e con quello dei suoi genitori, a un’operazione definita ufficialmente come «sperimentale» dal compianto neurochirurgo William Beecher Scoville. Vennero rimossi dal cervello di HM gran parte dei due ippocampi, della corteccia peririnale ed entorinale e parte dell’amigdala. In altre parole, le regioni che adesso ben sappiamo, largamente per merito di HM, essere deputate alla fissazione della memoria a lungo termine e all’emotività. Al suo risveglio, Henry mostrò di reagire normalmente agli stimoli circostanti, ma non aveva idea di dove si trovasse e del perché. Come ben precisa la Corkin in questo suo straordinario volume, l’espressione memoria a lungo termine è fuorviante, in quanto copre non solo i ricordi di giorni, settimane o più, ma anche pochi minuti. Nella sua disgrazia, HM ebbe anche alcune fortune. Serenissimo e gentilissimo, non faceva mai progetti per il futuro, non era perturbato dai piccoli accadimenti negativi quotidiani e mostrava un ottimo carattere. I risultati più interessanti di questo lungo studio riguardano il suo silenzioso, ma netto, miglioramento nell’eseguire compiti, anche complessi, che sono governati dalla memoria motoria, non da quella proposizionale. Ogni giorno la professoressa Corkin doveva di nuovo presentarsi a Henry e di nuovo spiegare da capo in cosa consisteva il compito. Ma lui ne eseguiva alcuni con sempre maggiore destrezza, precisione e in minor tempo. Era contento, sul momento, di ricevere lodi. Si fidava di quanto gli dicevano, dimentico delle sedute precedenti. In uno scambio memorabile con la Corkin, disse: «Si vive e si impara. Io vivo, lei impara».
Un test classico consiste nel tracciare una linea spezzata continua, mantenendosi all’interno di un corridoio segnato da una stella. La difficoltà sta tutta nel fatto che lo si deve fare vedendo la propria mano e il tracciato solamente in uno specchio. HM migliorava ogni giorno e ancora eseguiva il compito meglio di un normale soggetto venti anni dopo. In contrasto, si registrarono risultati negativi nel suo trovare manualmente l’uscita da un labirinto scolpito su una tavoletta. E pure negativi sono stati i risultati di molti altri test. L’allora direttore dell’istituto dove lavorava la Corkin a Toronto, Brenda Milner, riporta un caso davvero sbalorditivo. La Milner chiese ad HM di ricordare in sequenza i numeri 5, 8, 4. Lo mise alla prova dopo venti minuti, un’eternità per lui, ma HM rispose correttamente. La sua spiegazione fu: «Cinque, otto e quattro danno come somma diciassette. Dividendo per due si ha otto e nove. Tenendo fisso otto, si ottiene cinque e quattro, quindi cinque, otto e quattro è la risposta, molto facile».
Ecco a cosa assomiglia un’intelligenza intatta, anzi, al di sopra della norma, ma privata di memoria. HM era affetto da amnesia anterograda, cioè un vuoto dal momento dell’operazione al presente, ma conservava una discreta memoria del vissuto precedente all’operazione. In particolare si ricordava ogni dettaglio di una sua gita in un piccolo aeroplano biposto, offertagli da suo padre quando lui era adolescente. Il pilota lo aveva fatto pilotare e per HM questo era stato l’episodio più gradevole della sua vita. Rivelò modi curiosi e allora imprevisti di consolidare anche un po’ delle memorie recenti, proiettandole all’indietro nel tempo. Avendo, di fatto, visto Suzanne Corkin per anni, infine sviluppò una certa familiarità per la studiosa e si persuase che era una sua compagna di liceo, cosa assolutamente non vera. Mostrò anche un discreto ricordo di figure e pannelli che vedeva molto spesso. Disegnò accuratamente la pianta di una casa nella quale si era trasferito cinque anni dopo la sua operazione. La complessità del caso HM emerge, pagina dopo pagina, nel libro della Corkin, perfettamente accessibile ai non esperti e ricco di ricostruzioni storiche dei protagonisti, le tecniche e le teorie delle neuroscienze in un arco di circa un secolo.
Il «New York Times» riportò il decesso di HM, il 2 dicembre 2008, e finalmente apprendemmo la sua vera identità: Henry Molaison. Un buon numero di sue foto, sparse lungo oltre 40 anni, sono ora disponibili su Internet e raccolte nel libro della Corkin. Si può ben sostenere che sia stato il più celebre caso di deficit neurocognitivo di ogni tempo. Io stesso ho dedicato un intero capitolo ad HM nel mio manuale di scienze cognitive del 2008, scritto quando era ancora vivo e ancora solo noto come HM (Le scienze cognitive classiche. Un panorama, Einaudi).
Per trovare un caso di notorietà professionale comparabile, occorre risalire a Tan Tan, al 1861, al celebre paziente afasico di Paul Broca, nello studio che introdusse i disturbi del linguaggio, poi rivelatosi essere Monsieur Louis Victor Leborgne. Broca era talmente bravo che individuava lesioni cerebrali della corteccia battendo dall’esterno, con un dito, una placchetta metallica. All’epoca dell’operazione di HM esisteva un metodo assai invasivo, raggi X del cervello sotto pressione interna di gas. Poi sono venuti metodi più precisi e non invasivi, come la risonanza magnetica funzionale. Questa rivelò in HM un notevole restringimento del cervelletto, adesso noto come conseguenza delle massicce terapie farmacologiche antiepilettiche cui era stato sottoposto, senza risultato, prima dell’operazione. Chiedo a questo punto alla Corkin quale terapia si applicherebbe oggi a un caso identico. «Forse si impianterebbero dei sottilissimi elettrodi nel cervello, in regioni ben selezionate e se ne seguirebbero i segnali per molti giorni per individuare il fuoco da cui iniziano le convulsioni epilettiche. Fatto questo, la rimozione chirurgica sarebbe molto più limitata e mai si farebbe una rimozione bilaterale. Se nessun fuoco venisse individuato, allora niente operazione chirurgica, ma trattamento farmacologico massiccio e perenne. Scoville può essere oggi, in retrospettiva, criticato per aver operato ablazioni piuttosto estese, senza aver prima identificato il fuoco delle convulsioni».
Oggi il cervello di HM è stato minutamente sezionato in tantissime fettine, consentendo di mappare in dettaglio i suoi deficit a specifiche lesioni cerebrali. È legittimo dire, non senza profonda tristezza, che, anche dopo morto, Henry Molaison continua a contribuire alla conoscenza del nostro cervello, della nostra mente e quindi della nostra natura umana.

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