Letta-Renzi il Patto

by Sergio Segio | 8 Giugno 2013 23:00

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Beppe Fioroni lo ha battezzato con ironia il «patto di Yalta», per «spartirsi il partito e il governo del presente e del futuro».
Ma l’intesa siglata ieri tra Matteo Renzi ed Enrico Letta, al di là delle letture maliziose, è foriera certamente di novità per il Partito democratico. «Siamo una squadra», ha detto
il presidente del Consiglio al sindaco di Firenze. E ha aggiunto: «Quando ho finito io al governo, tocca a te».
I due hanno deciso di giocare insieme la loro partita, ed è evidente che gli altri si innervosiscano, perché capiscono che da ora in poi nel Pd le carte le daranno il premier e il sindaco di Firenze. «C’è una nuova generazione che prova a prendere la leadership della politica e questo è un fatto importante perché invece l’attuale gruppo dirigente del partito è intriso di conservatorismo», ha spiegato Renzi ai suoi.
Il primo cittadino ha deciso di fare le cose in grande. È vero che non ha ancora sciolto i residui dubbi sull’opportunità di una sua candidatura, ma ormai sta già pensando addirittura alla squadra: «Voglio portare al Pd gente che fino ad oggi è stata lasciata fuori della porta: sindaci, presidenti di regione, giovani imprenditori. E comprendo che chi è abituato a vedere le cose sempre nello stesso modo, ad andare avanti solo con sindacalisti e funzionari, possa essere preoccupato dall’arrivo di questo mondo nel partito. Ma sarebbe sbagliato avere paura: in politica chi ha paura perde». E non ha di certo timori Letta, il quale, anzi, è convinto che Renzi al Pd «garantisca il governo».
Del resto, è proprio dell’attuale esecutivo, oltre che del Pd, che i due hanno parlato ieri a palazzo Vecchio. «Io non voglio fare il segretario per avere nelle mie mani il destino del governo», ha assicurato il sindaco al premier. E ha aggiunto: «Ricorda che sono una persona leale. Non fedele, ma leale». E per questa ragione Renzi ha ribadito per l’ennesima volta a Letta: «Io ti darò una mano». Poi, sempre per lealtà, ha aggiunto: «Però ricordati che il governo durerà solo se funzionerà. È nato da uno stato di necessità, ma si potrebbe trasformare questa situazione obbligata in un’opportunità».
Anche su questo Letta e il sindaco rottamatore si sono trovati d’accordo: «Sono io il primo a dirlo — ha sottolineato il premier — vivacchiare non funziona e io non ho nessuna intenzione di vivacchiare». Dunque, Letta ha dato la sua parola d’onore a Renzi che se deciderà di scendere in campo per la segreteria lui lo sosterrà: «Saresti un ottimo leader per risollevare il Pd».
Come è ovvio, rimangono delle differenze tra i due. Caratteriali, innanzitutto. E non solo. Letta, per il ruolo che ricopre e il rapporto che per questo ha con Giorgio Napolitano, sponsorizza la Convenzione dei 35 saggi per le riforme, Renzi invece non crede a questo strumento. È convinto che non sia questa la via per raggiungere gli obiettivi più importanti, ma che anzi rappresenti un modo per «prendere tempo» e non fare quei «cambiamenti» e quelle «innovazioni» che secondo lui sono più che mai necessarie.
Ma è ovvio che un’intesa totale tra i due non sarebbe possibile. L’accordo raggiunto ieri, però, è già un passo avanti. Prova ne è il nervosismo che ha generato in una fetta del partito. Ora in molti guardano alle mosse di Bersani. Che cosa potrà fare l’ex segretario per sbarrare il passo al sindaco? Nella commissione che deve stabilire le regole del congresso c’è Nico Stumpo, uomo di fiducia di Bersani, nonché ideatore e strenuo difensore delle regole delle primarie che tanto fecero discutere all’epoca del duello tra l’allora segretario del Pd e il primo cittadino del capoluogo toscano. E adesso Stumpo e Bersani pensano di fare il bis: «Potranno votare per il segretario solo quelli che si iscrivono come fu per la registrazione delle primarie della volta scorsa». L’idea di far scegliere il leader addirittura solo ai tesserati è stata abbandonata perché ci si è resi conto che avrebbe sollevato troppe polemiche e proteste in un partito che già ha i suoi bei problemi.
Ma non ci sono solo le resistenze di Bersani. Un altro esponente del Pd che non nasconde le sue perplessità è Beppe Fioroni. A lui il «patto di Yalta» non va proprio giù: «Non vorrei che finissimo come l’Europa, che poi, dopo quel patto, dovette aspettare il crollo del muro di Berlino per poter giocare la sua partita». Ma Fioroni non sembra troppo convinto neanche degli altri possibili candidati segretari, come Zingaretti. Per lui sia Renzi che il presidente della Regione Lazio non giocano una partita corretta: «Stanno sfidandosi a chi si intesta la leadership della neonata corrente, che dovrebbe nascere per contestare le correnti. In realtà, questi sepolcri imbiancati sono gli stessi che si arrabbiano se non viene nominato uno dei loro in una commissione o se non ottengono un posto in segreteria. Tutto ciò nasce dal fatto che nel Pd ai valori sono stati sostituiti i valori… bollati: tu fai un piacere a me e io ti sostengo: in fondo su che altro si basa il patto di Yalta siglato ieri a Firenze?».
Maria Teresa Meli

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