La talpa Snowden svanisce nel nulla Forse i russi lo stanno interrogando

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MOSCA — Edward Snowden che doveva lasciare ieri la Russia per l’Ecuador, ha fatto perdere le sue tracce. Anzi ci si chiede addirittura se sia mai veramente arrivato nella capitale russa, dato che nessuno l’ha visto. Probabilmente è nel Paese, come sostengono gli Stati Uniti sempre più irritati e si trova sotto la protezione dei servizi di sicurezza. O addirittura sta collaborando con il successore del Kgb, magari svelando segreti assai più rilevanti di quelli rivelati ai giornali nelle scorse settimane. L’ipotesi appare assai inquietante, tanto che Julian Assange, il fondatore di WikiLeaks che a sua volta è rifugiato da un anno nell’ambasciata ecuadoregna di Londra, si è affrettato a smentirla. Lui e gli avvocati della sua organizzazione dicono di aver prestato assistenza all’ex collaboratore della National Security Agency americana (Nsa). Ma, a quanto affermano altre fonti, raccontano pure parecchie frottole. Per assicurare l’incolumità di Snowden? Per condurre un loro particolare gioco?

Non lo sappiamo. Di certo c’è che alcune notizie si sono oggi rivelate infondate. La prima è che una richiesta di asilo politico sia stata avanzata anche in Islanda. Secondo la Cnn, fonti ufficiali di quel Paese hanno detto di non essere state contattate. È invece vero che l’Ecuador sta esaminando la domanda del 29enne ex contractor della società Booz & Allen che lavora per la Nsa («mi feci assumere apposta per avere accesso ai loro segreti», ha dichiarato a un giornale cinese). Questo è quanto ha affermato il ministro degli esteri Ricardo Patino, il quale ha anche detto che il suo governo è in contatto con Mosca e sta esaminando le richieste degli Stati Uniti. Continuano inoltre le rivelazioni: la Suddeutsche Zeitung, in base a documenti messi a disposizione di Snowden, rivela che i servizi segreti britannici spiavano «sistematicamente», con il programma Tempora, i dati Internet e telefonici che dalla Germania raggiungevano la Gran Bretagna e viceversa.

Tornando a Snowden, secondo quanto avevano sostenuto i funzionari della compagnia statale russa Aeroflot, doveva partire ieri con il volo per l’Avana. Ma a bordo dell’aereo (pieno di giornalisti) nessuno l’ha visto. Naturalmente non si può escludere che sia stato fatto salire nella zona riservata all’equipaggio, visto anche che l’apparecchio doveva comunque sorvolare lo spazio aereo di paesi alleati degli Usa che avrebbero potuto intervenire. Inoltre va anche tenuta presente la possibilità che Snowden sia stato imbarcato su un volo privato.

Il Cremlino continua a rispondere picche alle richieste americane, affermando di non avere alcuna notizia del fuggitivo, cosa che sembra per lo meno bizzarra. Sulla questione è intervenuto il presidente Obama: «Ricorreremo — ha detto — a tutte le vie legali per fermare Snowden». E il segretario di Stato John Kerry ha detto che sarebbe «profondamente inquietante» se Mosca non accogliesse le richieste del suo governo. Ma parlamentari russi hanno invece sostenuto che i rapporti sono tali che il loro Paese non ha alcun obbligo nei confronti di Washington.

Certamente, al di là dell’interesse per un approfondito «debriefing» di Snowden da parte dell’Fsb (e l’uomo potrebbe essere a conoscenza di molti altri segreti sulle capacità globali di intercettazione della Nsa), Mosca potrebbe trovarsi in imbarazzo. Per evitare un nuovo scontro diretto con Washington, meglio sarebbe liberarsi al più presto dell’ingombrante ospite.

Ma i servizi americani, dicevamo, sono convinti che Snowden sia ancora sul territorio russo. E la Casa Bianca, dopo aver criticato assai duramente la Cina e Hong Kong, ha chiesto ufficialmente alla Russia di consegnarlo. L’unica risposta arrivata per ora tramite l’agenzia Interfax sembra piuttosto debole: «Non potevamo arrestarlo perché non è entrato in territorio russo», vale a dire che sarebbe rimasto nella zona transiti dell’aeroporto. Il solo aspetto positivo della vicenda per Washington è l’elenco dei Paesi coinvolti da Snowden e Assange. L’informatico in fuga dice di aver voluto lottare contro iniziative illegali dell’amministrazione americana. Ma certo Cina, Russia, Ecuador, Cuba e Venezuela non sono proprio campioni di democrazia e trasparenza.

Fabrizio Dragosei


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