La talpa

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LONDRA. «Mi dispiace, signore, non posso passarle Edward Snowden, questa mattina ha pagato il conto e se n’è andato», dice al telefono la voce suadente della centralinista del Mira Hotel, uno degli alberghi più lussuosi di Kowloon, il quartiere dello shopping di Hong Kong, “il posto giusto per i patiti dell’alta tecnologia”, avverte un depliant promozionale, con tivù a cristalli liquidi, postazione iPod e wifi gratuito in ogni stanza. «No, signore — precisa la centralinista — non so dirle dov’è andato». In tanti lo vorrebbero sapere: la Nsa, la Cia, sicuramente i servizi segreti cinesi, quelli britannici che nell’ex colonia cinese erano fino a quindici anni fa i padroni di casa, più una miriade di giornalisti. Ma come in un film, l’ex agente americano, la nuova “gola profonda”, l’autore di una fuga di notizie dall’interno del governo degli Stati Uniti come non ne avvenivano dal tempo del Watergate e dei Pentagon Papers, è di nuovo scomparso.

E ora, come al cinema, gli spettatori di questo thriller internazionale siedono sulla punta della poltrona chiedendosi se il protagonista sia un cattivo diventato buono o un buono diventato cattivo, «un eroe della democrazia», come lo chiama il fondatore di Wikileaks Julian Assange o un traditore della patria, come insinuano senatori Usa democratici e repubblicani, chiedendo che venga incriminato per violazione di segreti di stato — magari, sospetta qualcuno, per darli alla Cina, visto che è Hong Kong il primo rifugio in cui è riparato. Eppure sembra sincero, il 29enne genio dei computer che ha rivelato al quotidiano Guardian di Londra tutti i segreti del Datagate, milioni o miliardi di telefonate e comunicazioni sul web scrutati e conservati dagli analisti della National Security Agency. Per capirne di più, nel gioco di specchi dei servizi segreti, non resta che riavvolgere il film con un lungo flash back e farlo ripartire dall’inizio. Cominciando dal 1984 — guarda caso, il titolo del romanzo fantapolitico di George Orwell su un “Grande Fratello” che sorveglia il mondo — l’anno in cui Edward nasce in una famiglia della middle-class Usa. Siamo nell’America di provincia: Elizabeth City, North Carolina. Lui è un ragazzino come tanti: occhialuto, pensieroso, difficile. I suoi si trasferiscono in Maryland, avvicinandosi alla capitale, lavorano tutti per lo stato, la mamma come impiegata in un tribunale, il padre in un altro ufficio pubblico: seconda predestinazione, abitano vicino a Fort Meade, il quartier generale
della Nsa, il servizio segreto che controlla le comunicazioni, destinato a diventare sempre più importante con la rivoluzione digitale di Internet.
Svogliato, scontento, Edward abbandona gli studi senza neanche finire l’high-school. È il 2003 e a quel punto fa quello che fanno tanti drop-out, tanti giovani senza istruzione e lavoro: si arruola nella U.S. Army. È scoppiata la guerra in Iraq, la seconda risposta di George W. Bush (dopo la guerra in Afghanistan) all’attacco terroristico all’America del fatale settembre 2001. Sogna di entrare nelle Special Forces: ma si spezza due gambe in un esercizio di addestramento, dimostra di non essere all’altezza, viene congedato. Altra delusione, dopo quella della scuola. Trova un posto come guardia, è pur sempre un ex-militare, in un ufficio clandestino della Nsa dentro l’università del Maryland. È l’amo che lo avvicina a un nuovo mondo. Scopre di averci qualcosa in comune: la sua conoscenza da autodidatta dei computer e di Internet, grandi compagni dei solitari. Ci sa talmente fare con il web che l’anno seguente viene assunto dalla Central Intelligence Agency, la celebre e controversa agenzia di spionaggio americana, come esperto di IT, Information Technology, anche se non ha finito gli studi.
Finalmente ha trovato qualcosa per cui viene stimato. Tanto che, nel 2007, la Cia lo manda a Ginevra, crocevia di organizzazioni internazionali, petrolio, banche. Viaggia con passaporto diplomatico, partecipa a operazioni clandestine, sia pure usando solo i polpastrelli sul suo pc, senza bisogno di menare le mani. Ed è proprio nella capitale svizzera del denaro che ha la sua prima crisi: assiste a un complotto per sbronzare un banchiere, poi fermato dalla polizia per guida in stato di ubriachezza. Un agente Cia si offre di tirarlo fuori dai guai, poi esige dal banchiere informazioni. Edward ha il voltastomaco. Forse è ingenuo, forse è un idealista. Ma compromettere il prossimo e mentire sono armi che non gli piacciono.
Due anni più tardi lascia la Cia. Accetta lavori per private contractors, le aziende che lavorano per Pentagono e servizi segreti. Pensa che sia moralmente differente, ma ben presto comprende che è la stessa cosa, così finisce per rientrare nell’intelligence dalla porta d’ingresso: assunto dalla Nsa. La sua abilità con i computer a questo punto è al servizio della sorveglianza elettronica più sofisticata: «Posso spiare te, un giudice, anche il presidente degli Stati Uniti, se mi dai la sua email», dirà in seguito
a un giornalista. È sempre più schifato dal suo mestiere. Continua a farlo, ma in cuor suo ha già deciso: aspetta solo l’occasione giusta per smascherare quella che considera una spaventosa macchinazione ai danni della democrazia. La Nsa lo spedisce in Giappone, poi alle Hawaii. Edward è giovane, fa carriera, guadagna bene: 200 mila dollari l’anno, abbastanza per prendere in affitto una bella casa con tre camere da letto a due minuti dalla
spiaggia di Waipahu, non lontano da Honolulu. Potrebbe spassarsela con la sua ragazza, ma evidentemente pensa ad altro. «Quando si è trasferito qui, mio marito è andato a suonare il campanello per dargli il benvenuto nel quartiere», racconta Carolyn Tijing, la vicina di casa. «Ha risposto, “bene, grazie” e gli ha chiuso la porta in faccia. Lui e la sua ragazza avevano coperto l’ingresso del garage con una montagna di scatoloni, perché non si vedesse cosa c’era dentro. Non incontravano mai nessuno. Soltanto alle due o alle tre di notte, ogni tanto, arrivava un’auto, scendevano uomini, stavano da
lui pochi minuti e se ne andavano ».
Un mese fa comunica alla Nsa che deve assentarsi un paio di settimane per curarsi l’epilessia, malattia di cui soffre anche la madre, racconta una scusa alla sua girlfriend e prende un volo per Hong Kong. Da lì contatta il Washington Post per pubblicare il suo dossier. Parla con un reporter del quotidiano americano usando un nome in codice: “Verax”, in latino significa colui che dice la verità. Ma forse perché è una verità scottante, il Post
mette condizioni, rimanda, e allora lui si rivolge al Guardian di Londra, che pubblica tutto e subito. Nell’albergo di Hong Kong mostra agli inviati del giornale britannico in che modo copre il computer con un cappuccio rosso nel timore che telecamere nascoste possano carpire la sua password. Ordina solo roomservice: «In un mese sono uscito tre volte», confida. Perché lo fai?, chiedono i giornalisti. «Non per denaro. E nemmeno per danneggiare
gli Stati Uniti. Ma non posso permettere che il governo americano distrugga la libertà di Internet e le libertà fondamentali ». Sa di rischiare grosso: «Mi faranno soffrire». Sa che la sua vita non sarà mai più la stessa. Ha un vago piano di ottenere asilo politico in Islanda e forse ha qualche altra carta da giocare: «Ma non ho paura e non sono pentito». Sono le sue ultime parole. La mattina di lunedì 10 giugno Edward Snowden fa il check-out dall’hotel Mira e sparisce di nuovo. Conosce tutti i trucchi di quelli che gli danno la caccia. Lo prenderanno?


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