Istanbul, arrivano le scuse del governo Ma la folla continua a riempire le piazze

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ISTANBUL — Piazza Taksim di giorno appare sonnacchiosa come i ragazzi che dormono tranquilli sotto gli alberi con la mascherina ancora indosso e la bandiera turca vicina al materasso. Poco più in là qualcuno dà lezioni di yoga mentre quelli che tirano le fila del movimento si riuniscono per decidere cosa diranno al vicepremier Bülen Arinç, che ha annunciato proprio ieri di volerli incontrare per ascoltare le loro richieste. «Di certo non lasceremo la piazza, il vicepremier non si è affatto scusato, ha detto solo che ha capito i motivi delle prime manifestazioni ma non ha avallato la protesta in toto». A parlare è Can Atalay, avvocato dell’associazione nazionale ingegneri e architetti, fra i primi a presentare ricorso contro la distruzione del parco, un anno e mezzo fa. Capelli corti e neri, camicia di lino beige stropicciatissima, il volto segnato dalle troppe riunioni e dalle notti insonni Can si scusa per la voce roca, «è colpa dei lacrimogeni» dice, e ci mostra la ferita sulla schiena causata da un candelotto di gas: «Le pare normale che li sparino ad altezza d’uomo e prendendo bene la mira? Dovrebbero lanciarli in aria!». La delegazione che oggi incontrerà il vicepremier è formata da 80 associazioni diverse che sono dietro al progetto «Solidarietà a Taksim». Quattro le richieste del movimento, contenute in un documento fino a ieri ancora sotto embargo: il parco non deve essere toccato; i responsabili del comportamento delle forze dell’ordine, in primis il governatore di Istanbul, devono essere puniti; tutte le persone arrestate devono essere immediatamente rilasciate; qualsiasi divieto di manifestare a Taksim o altrove deve cadere immediatamente. «I nostri cinque giorni di lotta hanno dimostrato — si legge nel documento — che quello che il governo cerca di imporre con la forza, trasformando il Paese in un’immensa prigione, non funziona. Dalle piazze della resistenza annunciamo: questo è solo l’inizio».
Di lasciare il parco, insomma, non se ne parla proprio. Anzi. Ieri sera Taksim, Besiktas, Nisantasi erano di nuovo stracolme di gente. Già nel pomeriggio si potevano vedere cortei spontanei di persone fluire verso la piazza. «Laica, la Turchia è laica e sarà laica per sempre», gridano un gruppo di farmacisti ancora in camice bianco. Due ragazze velate applaudono. Si chiamano Aygul e Yeter. Spingono un passeggino con dentro un bimbetto sui tre anni: «Noi veniamo da sempre al parco e lo amiamo. Lo scriva: abbiamo votato per l’Akp in passato ma non lo faremo mai più. Tayyip (Erdogan n.d.r.) non ha capito che ci ha deluso. In piazza qui siamo tanti e tutti diversi. Vogliamo la democrazia, non la teocrazia». All’improvviso parte un grido: «Televisioni guardateci, siamo noi i pinguini! Dove sieteeeeeee?» la polemica è con un importante canale televisivo privato che, invece di mandare in onda gli scontri, ha trasmesso un documentario sui deliziosi animali. Ma gli altri canali non sono stati da meno (c’è stato chi si è dedicato alla cucina, chi alla storia di Hitler) e ieri, dopo le rimostranze dei cittadini, le tv si sono cosparse il capo di cenere e hanno cominciato a coprire un evento che, ironicamente, finora aveva destato molta più attenzione nei media stranieri.
A nulla sembrano valere i tentativi del governo di mettere fine a una protesta che sta facendo molti danni all’immagine internazionale della Turchia. Ieri anche l’Onu ha chiesto indagini «tempestive, complete, indipendenti e imparziali» sugli incidenti. «I colpevoli devono essere portati davanti alla giustizia», ha aggiunto la portavoce Cécile Pouilly. E se il vicepremier dice di «aver imparato la lezione» e si scusa, «a nome dell’esecutivo, con quanti hanno subito violenze a causa della loro sensibilità per l’ambiente», il ministro dell’Interno Muammer Güler difende a spada tratta l’uso dei gas lacrimogeni contro coloro che avevano provato a raggiungere gli edifici governativi: «Avremmo dovuto permettere loro di marciare e prendere il Parlamento?», ha chiesto in tono polemico.
Ieri, intanto, la piazza contava il terzo manifestante morto ad Antakya, vicino al confine con la Siria. Secondo il governo, finora la rivolta ha fatto 160 feriti tra i poliziotti e 60 tra i civili ma per l’associazione dei medici turchi le persone che sono state medicate sono già 2.500 soltanto tra Istanbul e Ankara, mentre Amnesty International parla di almeno 1.500 feriti a Istanbul, 414 ad Ankara e altre 420 a Smirne.
Se i poliziotti in piazza ricevono fiori dai manifestanti e li restituiscono senza proferire parola, un comune si rifiuta di fornire d’acqua i cannoni delle forze dell’ordine: «Ci serve in caso di incendio», si è giustificato Mustafa Akaydin, il sindaco di Antalya, paradiso turistico della costa mediterranea. L’uomo appartiene al socialdemocratico Chp, il principale partito di opposizione. E c’è da giurare che Erdogan se la legherà al dito. Tayyip, dicono tutti, non dimentica.


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