Istanbul, ancora guerriglia liquidi urticanti sulla folla centinaia con piaghe e bruciori

by Sergio Segio | 17 Giugno 2013 5:58

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ISTANBUL. — Un milione di persone in piazza a Istanbul per Tayyip Erdogan. Un milione contro, dispersi fra le strade della metropoli, e non più riuniti a Piazza Taksim o nel Gezi Park. Metà della Turchia è ormai in aperta rivolta contro il leader islamico, che oggi pare aver gettato la maschera di moderato, rivelando i progetti di islamizzazione e imponendo il pugno duro contro gli oppositori. Durissimi scontri sono scoppiati ieri nuovamente a Istanbul, dopo una notte di incidenti causati dallo sgombero forzato del parco, occupato dai dimostranti che si opponevano alla distruzione dell’area verde e a leggi di sapore confessionale. E non solo nella città simbolo del Paese, ma anche nella capitale Ankara e in tutto il Paese, da Smirne a Mersin, da Canakkale ad Adana.
Per evacuare il parco liberandolo dopo 17 giorni, le forze antisommossa hanno attaccato con cariche continue, proiettili di gomma, gas lacrimogeni, granate assordanti e idranti speciali. Ma soprattutto, secondo il quotidiano Milliyet
e le foto scattate da alcuni manifestanti, usando un liquido urticante, il “Jenix”, una sostanza di colore rosso fuoco che provoca sulla pelle piaghe profonde e vistose, oltre che un fortissimo bruciore agli occhi. Il governatore della città, Avni Mutlu, ha risposto che l’acqua usata per disperdere la folla «non contiene prodotti chimici», ma è invece «una soluzione medica». Quasi un’ammissione. Il Jenix — contenuto in taniche blu da 10 kg — viene venduto in Turchia solo a militari, polizia e gendarmeria.
Pure ieri Piazza Taksim, il centro della metropoli sul Bosforo, è rimasta blindata e totalmente in mano alle forze di sicurezza. E anche le vie limitrofe, due giorni colme di turisti, come Istiklal Caddesi dove passa il tramvai rosso fino alla Torre di Galata, o il quartiere dei grandi alberghi di Besiktas, erano attraversate da centinaia di agenti. Un’area di guerra, in sostanza, dove emergevano barricate improvvise e zone off-limits. Qui si radunavano migliaia di oppositori, giunti da tutta la città, pure dalle zone anatoliche oltre i due ponti sullo Stretto. Cercavano di confluire su Taksim, circondata dalla polizia, per dimostrare contro Erdogan. Ed è allora che qui e là scoppiavano risse e incidenti.
A dieci chilometri dal centro, invece, in una piazza in direzione dell’aeroporto internazionale, si riunivano nel pomeriggio i fedelissimi del primo ministro. Davanti alle bandiere del partito islamico, Erdogan ha di nuovo parlato di «cospirazione internazionale», accusando la «lobby dei tassi d’interesse», la «stampa straniera», e il capo del principale partito di opposizione, il socialdemocratico Kemal Kilicdaroglu, il quale aveva denunciato l’assalto della polizia a Gezi Park come «un crimine contro l’umanità». Il premier ha poi difeso la repressione, arrivata comunque dopo che aveva dato un nuovo ultimatum, quando l’accordo dopo un negoziato sembrava ormai raggiunto, e invece scattata all’improvviso solo due ore dopo. «Avevo detto che eravamo arrivati alla fine — ha gridato davanti a una folla plaudente, tra cui molte donne con il capo velato — e che la situazione era intollerabile. Era mio dovere come primo ministro. Non tornate a Piazza Taksim: non si può manifestare dove si vuole». Kilicdaroglu ha risposto: «Nemmeno Hitler aveva immaginato di trasformare un’intera città in una grande camera a gas». Da oggi due sindacati hanno proclamato uno sciopero generale per protestare contro le misure repressive.
Le immagini della repressione di Istanbul hanno fatto il giro del mondo. Cinque morti finora, centinaia di feriti, donne e bambini feriti sulle barelle, medici arrestati perché prestavano soccorsi, deputati picchiati, giornalisti minacciati e buttati a terra, lacrimogeni sparati in ristoranti e alberghi (al Divan è rimasta intossicata la leader dei Verdi tedeschi, Claudia Roth), l’uso di prodotti tossici, l’assalto al funerale di un manifestante ucciso ad Ankara. I social network hanno fatto un lavoro di informazione capillare, un fiume in piena che trabocca di fotografie scioccanti e di denunce sulla brutalità della polizia a Istanbul. Immagini di guerra nel cuore di una città che aspettava milioni di turisti, e che ora costano molto anche alla credibilità internazionale del primo ministro turco.

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