IL PUGNO DI FERRO DEL LEADER SUPREMO
Se con il colpo di stato nelle urne del 2009 è la fazione riformista a essere espulsa dal “sistema”, espressione che definisce il campo della conventio ad excludendum in salsa persiana, nel 2013 è una decisione di diritto che mette ai margini la fazione di Ahmadinejad. Prezzo politico inevitabile dopo la mossa del cavallo di Khamenei che quattro anni fa ha avallato il finto trionfo del presidente populista, chiedendogli in cambio la rinuncia al disegno di ridimensionamento del potere dei conservatori religiosi implicito nel khomeinismo senza clero. Un progetto cui la destra radicale non ha mai abdicato.
Nel “sistema” il conflitto tra fazioni è sempre stato aspro, talvolta violento, come già si era visto durante l’era Khatami, ma era sopravvissuto un relativo pluralismo politico, visibile persino dall’alleanza competitiva tra conservatori religiosi e populisti radicali. Ora viene meno anche quella maschera. I possibili vincitori si trovano tutto da un solo lato del campo.
Sebbene formalmente candidato, il centrista Rohani non ha possibilità: eppure è su di lui che si concentrano le speranze dei riformisti, tanto che ieri l’ex presidente Khatami ha invitato «tutti coloro che vogliono lo sviluppo del Paese» a votare per lui. Ma probabilmente non basterà. Nella Repubblica Islamica può vincere solo chi ha solide sponde nel “sistema”: per questo i Guardiani hanno messo fuori gioco il discusso Rafsanjani, che pure molti riformisti avrebbero votato come male minore. I custodi della Costituzione hanno accusato l’antico compagno di Khomeini di complicità con la “sedizione”, ovvero con l’Onda verde, movimento per il quale Rafsanjani ha chiesto piena agibilità politica.
Mashaei, candidato di Ahmedinajdad, è stato escluso con un’accusa ben più pesante: “deviazionismo religioso”. Accusa che non ha a che fare solo con motivazioni teologiche. Ahmadinejad e Mashaei insistono sull’imminente ritorno del Mahdi, l’Imam Occulto che secondo la credenza alide tornerà in Terra, per affermare il regno della Giustizia. Ma i conservatori religiosi, che proprio in nome del khomeinismo hanno teorizzato il ruolo sostitutivo del clero nelle funzioni di governo sino al compimento messianico, non amano l’enfasi sul punto. Se il Mahdi tornasse, il loro ruolo come suoi luogotenenti in Terra non avrebbe senso. Da qui il rovesciamento di posizione, che muta i non clericali in messianici e i turbanti in scettici.
Guida e Presidente uscente sono divisi anche da altre questioni. Khamenei ritiene ancillare il ruolo dei non clericali in politica mentre per Ahmadinejad è l’inverso. Il presidente ex—pasdaran esalta la generazione del fronte che ha combattuto giovanissima nella guerra con l’Iraq: la stessa che il clero ha ridotto a simbolo retorico di uno dei grandi miti fondativi della nazione. Khamenei non ama la linea antimperialista della destra radicale, in particolare quella di Mashaei che ritiene finito il tempo della rivoluzione islamica a favore di quella antiglobalista. Uno scontro vero, come si capisce anche dal rifiuto della Guida di riammettere alle elezioni il candidato del suo ormai ex—alleato. Uno sgarbo reso possibile anche dalla crescente impopolarità di Ahmadinejad nel suo ruolo di governo.
In queste elezioni la Guida doveva scegliere se rilegittimare il “sistema” attraverso una nuova fase di inclusione politica o renderlo impenetrabile alle altre fazioni: ha optato per la seconda scelta. Il suo candidato è Jalili. Quanto agli elettori della destra radicale potrebbero convergere, in una strana e oggettiva alleanza di necessità con parte dei riformisti realisti, su Qalibaf, sindaco di Teheran, modernizzatore interessato più all’efficienza che al controllo dei costumi. Entrambi, Jalili, che può contare anche sull’appoggio dei Basij, e Qalibaf, hanno il gradimento dei pasdaran, nei cui ranghi hanno militato con responsabilità di livello. Un corpo, quello dei Guardiani della Rivoluzione, sempre più decisivo, anche politicamente, nella funzione di architrave del regime.
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