Il piano dei tagli e quei debiti fuori bilancio dei ministeri
Nel 2009 sono stati scoperti, pagati e regolarizzati debiti maturati nel periodo 2007-2008, fino a quel momento sommersi, per due miliardi. L’anno scorso altri due miliardi e mezzo, per il 2010 e il 2011. Con i 500 milioni appena sborsati dal Tesoro sono cinque miliardi in cinque anni: il governo Letta vorrebbe mettere un punto, ma la cifra non è definitiva. Le spese irregolari continuano a emergere. Ieri la Ragioneria dello Stato ha scritto a tutti i ministeri imponendo loro, come prevede la legge sul pagamento dei debiti della pubblica amministrazione, un piano di risparmi per far fronte ai debiti fuori bilancio rimasti ancora insoluti e dei quali è tuttora in corso la ricognizione. Un fenomeno che neanche lo Stato conosce nelle sue reali dimensioni, al quale si è finora fatto fronte con interventi tampone. Davanti a «una dimensione sostanzialmente sconosciuta dello stock dei debiti fuori bilancio – scrive la Corte dei Conti nel Rapporto sul coordinamento della Finanza Pubblica della scorsa settimana – lo Stato procede periodicamente a parziali regolarizzazioni con appositi stanziamenti». L’ultimo era, appunto, di 500 milioni. Una piccola parte dei 40 miliardi stanziati nel biennio 2013-2014 per il rimborso dei debiti arretrati (19 per i comuni, 14 per la sanità e le Regioni e 7 per lo Stato centrale, 6,5 dei quali destinati alla restituzione delle imposte). Volatilizzati, come i primi 500 milioni immessi nel Fondo tra il 2006 e il 2008, subito dopo la sua creazione, e quelli che sono serviti alle sanatorie degli ultimi anni.
Gran parte di queste spese, circa la metà, sono relative al ministero degli Interni e alla Giustizia (ad esempio erano fuori bilancio le spese per le intercettazioni, regolarizzate più volte), ed in misura minore del ministero della Difesa (quasi un miliardo negli ultimi cinque anni). Lavori e prestazioni commissionati senza titolo formale e senza registrare nulla in contabilità, ma eseguiti, quindi da onorare. Una pratica molto diffusa nei ministeri, alimentata anche dai famigerati tagli lineari che hanno colpito spese incomprimibili e spinto i funzionari a infilare le fatture sotto i tappeti, e che peraltro non accenna a rallentare nel tempo. Anche perché, come nota la Corte dei Conti, il ripiano sistematico a posteriori appare «come una vera e propria garanzia di sanatoria amministrativo-contabile, con effetti non dissimili da quelli prodotti dai ricorrenti condoni fiscali del passato». Fatto sta che, per quel che riguarda lo Stato centrale, nonostante la forte spinta impressa ai rimborsi dal 2012, i debiti fuori bilancio sono gli unici che vengono pagati ai fornitori. Le altre fatture arretrate, quelle regolari, seppur vecchie o vecchissime, una quindicina di miliardi secondo una stima, perché anche in questo caso un quadro definito non c’è, sono lì che aspettano, benché ci siano molti più soldi per saldarle. Solo nel 2011 il governo ha messo sul piatto 3,7 miliardi per pagare arretrati a fronte dei quali esistevano impegni di bilancio, magari scaduti. Due miliardi erano disponibili come rimborso sotto forma di titoli di Stato, ma i creditori li hanno snobbati, con una richiesta di appena 14 milioni. Poi c’era un miliardo per far fronte agli arretrati della spesa corrente, tagliato a 500 milioni, e utilizzato solo per metà. Mentre dei 700 milioni stanziati per gli arretrati sulla spesa capitale, quindi per gli investimenti, ne sono stati usati 88. Totale 336 milioni su 3.700, meno del 10%. Di questi debiti si sa più o meno tutto, ma in pochi li reclamano. Di quelli fuori bilancio invece non si sa niente. Nell’ennesimo tentativo di definire una volta per tutte la questione, la legge sul pagamento degli arretrati aveva previsto un’ulteriore ricognizione. I ministeri dovevano stilare un elenco dei debiti sommersi al 31 dicembre 2012 e pubblicarlo sul proprio sito internet. Ma in rete, per ora, si trova solo il piano del ministero dell’Agricoltura (32 milioni di debiti).
Mario Sensini
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