I campi di Ogm e i papaveri che spariscono
Gli Ogm sono organismi geneticamente modificati. Nel 2012, secondo i dati Isaaa (organizzazione che promuove il settore biotecnologico in campo agricolo), sono stati coltivati a Ogm 170,3 milioni di ettari di terreno nel mondo. Gli Stati con campi Ogm sono 28, tra i quali 5 europei: Spagna, Portogallo, Romania, Repubblica Ceca, Slovacchia. Gli Usa sono i leader nel biotech. I prodotti più coltivati sono soia, cotone, mais, colza
In Italia
Il 15 giugno a Vivaro, in provincia di Pordenone, 6.000 metri quadrati di terreno sono stati seminati con mais Ogm. La normativa italiana, recependo quella dell’Ue, non ne vieta la coltivazione ma prevede la necessità che le aree siano «tabellate». L’agricoltore, secondo il Corpo forestale, «ha confermato la natura transgenica dei semi piantati, ma ha impedito l’accesso ai campi» I l fatto che un agricoltore in Friuli Venezia Giulia sia riuscito a seminare mais ogm nei suoi campi è una piccola grande notizia di cronaca verde che quasi scompare tra quelle, ben più numerose e attraenti, di cronaca nera. In fondo, per chi vive lontano dal mondo agricolo può sembrare non così importante se la si compara all’enorme quantità di problemi di difficile soluzione che affliggono la nostra società. Che male c’è, si pensa infatti, se la scienza va avanti e ci permette di produrre di più e meglio con un uso minore di sostanze velenose nell’ambiente? Pensavo a queste cose ieri sera, controllando le mie api. In questi giorni di fioritura del tiglio il continuo ronzio delle bottinatrici che tornano ebbre alle arnie riempie l’aria. È così che ho sempre immaginato l’OM cosmico: la vibrazione misteriosa e potente di uno sciame al lavoro.
Per riuscire a sconfiggere gli insetti, le colture di mais ogm contengono il gene del bacillus thuringiensis, un gene in grado di produrre delle tossine che uccidono i parassiti delle piante. Le api non vengono coinvolte nello sterminio, ma questa tossina stimola una risposta immunitaria che attacca la loro memoria, disintegrandola. In questo modo le api, come gli anziani affetti dall’Alzheimer, vagano smarrite senza più riuscire a trovare la strada di casa. L’ape, come noi, è memoria; senza memoria non riesce a sopravvivere. E, come ci ha ricordato una citazione attribuita ad Einstein, senza le api anche la nostra vita sulla terra è destinata ad estinguersi in pochi decenni. Ne abbiamo già un esempio in alcune zone della Cina, dove un eccesso di veleni ha sterminato tutte le api, costringendo i contadini a comprare del polline secco e ad applicarlo con certosina pazienza su ogni fiore. Così i loro sterminati frutteti, invece di produrre il rassicurante ronzio delle bottinatrici, mostrano folle di uomini e donne arrampicati su scale che, maldestramente e sicuramente con minore successo, cercano di fare quello che, da che mondo è mondo, è stato compito delle api. Vale a dire, fecondare e garantire la varietà genetica.
Del resto, senza addentrarci in complessi discorsi tecnici, per capire la portata minacciosa del mutamento, basta ricordare che le piante ogm producono semi sterili, e questo, per il senso corretto della vita, contiene in sé un principio di abominio. Ma questo abominio, purtroppo, ha ormai invaso ogni aspetto della nostra vita, come la prolungata crisi economica ci dimostra, e il campo agricolo è l’ultimo spazio predatorio in cui esso si può manifestare, con danni che non siamo assolutamente in grado di prevedere né di calcolare. Ci saranno raccolti più abbondanti, certo, ma quali saranno i prezzi da pagare per questo? Una cosa sono gli esperimenti in laboratorio, un’altra è l’immensa — e in gran parte ancora misteriosa — complessità delle leggi di natura. Complessità che sicuramente, nei suoi paradigmi, non comporta quello della sterilità. Come si può, infatti, pensare che qualcosa che è programmaticamente sterile sia in grado di produrre, in tempi lunghi, fecondità?
La sterilità è ormai la cifra delle nostre vite. Viviamo in una società ossessionata dal come morire, ma afona nel chiedersi come dobbiamo vivere. L’esaltazione dell’individualismo narcisista ci ha fatto credere di essere circondati da ampi e meravigliosi paesaggi che, in realtà, non sono altro che finti fondali. Quello in cui adesso ci troviamo è un vicolo cieco. Seguire unicamente i desideri dell’ego, come questa società cinicamente materialista ci spinge a fare, è la via migliore per trovarsi intrappolati in un mondo popolato di ansie e di terrori. Il diffondersi epidemico degli attacchi di panico ne è la conferma. Al di là della materia, non ci vengono proposte altre ragioni valide per vivere. Compro e, comprando, vengo comprato: è questo il sinistro mantra che sospinge in avanti la società contemporanea. Ma avanti verso dove? Soltanto verso il baratro.
Per comprendere quello che siamo diventati, fermiamoci ad osservare i campi di grano ormai prossimi al raccolto. Il grano è maturo e questa visione dovrebbe atavicamente infonderci un senso di appagamento e felicità. Ma non è così. Qualcosa in molti di quei campi non va. C’è tanto giallo, è vero, ma c’è solo giallo; un giallo che però suona falso. Dove sono i papaveri, i fiordalisi o la camomilla, da sempre fedeli compagni del grano? Non ci sono più, sono stati eliminati da diserbanti selettivi, perché quei fiori che ci facevano sobbalzare di gioia — e che hanno ispirato molti capolavori della pittura mondiale — in realtà non erano altro che erbacce da eliminare per ottimizzare la resa dei raccolto.
Viviamo ormai unicamente per ottimizzare. Dai treni ai papaveri, tutto ciò che non rende, o fa rendere meno, viene drasticamente eliminato. Su questo altare è stato immolato tutto il superfluo e tutto ciò che si allontana da una globale forma di omogeneizzazione. La diversità non viene tollerata, così come la gratuità. Una volta si lasciava a terra del grano da spigolare per le persone povere, ora si eliminano i papaveri per ottenerne di più.
Questi campi ossessivamente gialli e piatti rispecchiano la nostra società più di mille saggi di sociologia. Questo è quello che siamo diventati. E se invece fossero proprio i papaveri e i fiordalisi ciò di cui abbiamo bisogno? Se la nostra società avesse, ora più che mai, un’assoluta necessità dell’irrompere della gratuità e della bellezza? Abbiamo bisogno di un ordine più profondo di emozioni, emozioni che ci comprendano e che ci facciano comprendere, che aprano la mente, ma soprattutto il cuore. Perché è il cuore il grande assente dei nostri giorni sterili. E la sua assenza ci spinge verso le terre desolate dell’amarezza e delle rivendicazioni. Non c’è cuore dietro ai semi sterili, non c’è cuore dietro ai campi tristemente gialli.
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