GOLPE CONTRO LA COSTITUZIONE OBAMA NON HA GIUSTIFICAZIONI

by Sergio Segio | 11 Giugno 2013 7:04

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Che equivale di fatto a un “golpe esecutivo” contro la Costituzione Usa. A partire dall’11 settembre la Carta dei diritti per la quale questo Paese lottò più di 200 anni fa è stata revocata — dapprima segretamente, poi in maniera sempre più aperta. In particolare il quarto e quinto emendamento della Costituzione Usa, che tutelano i cittadini contro l’arbitraria intrusione del governo nella loro esistenza privata, sono stati praticamente sospesi.
Il governo sostiene di aver agito con un mandato del tribunale emesso sulla base della Fisa (Atto sulla sorveglianza
e l’intelligence straniera). Quel mandato, ampiamente incostituzionale, proviene però da un tribunale segreto, lontano da ogni effettiva supervisione e quasi completamente sottoposto all’esecutivo.
È dunque assurdo che il presidente
dichiari che tutto sia avvenuto sotto il controllo giudiziario — così come assurda è la presunta funzione di controllo esercitata dai comitati di intelligence del Congresso. Il fatto che i leader del Congresso siano stati “convocati” su questo aspetto senza aprire alcun dibattito, proporre udienze o indagini e sottraendolo quindi a qualsiasi effettiva possibilità di un vero e proprio confronto, dimostra solo quanto in questo Paese il sistema dei controlli e dei contrappesi si sia spezzato.
Naturalmente gli Stati Uniti non sono diventati uno stato di polizia. Se scoppiasse una guerra capace di scatenare un movimento pacifista su larga scala — come quello che nacque per contrastare la guerra in Vietnam — o, com’è più probabile, se subissimo nuovamente un attentato della magnitudine di quello dell’11 settembre, oggi avrei motivi di temere per la nostra democrazia.
La segretezza, e in particolare la segretezza dell’intelligence delle comunicazioni, si basa su motivazioni legittime. Ed è questo il motivo per cui Bradley Manning ed io scegliemmo di non rendere pubblica alcuna informazione ritenuta tale.
Né il presidente né il Congresso possono revocare, da soli, il quarto emendamento — ed è per questo che quanto rivelato da Snowden sino ad oggi era stato tenuto nascosto al popolo americano. Nel 1975 il senatore Frank Church parlò dell’Agenzia per la sicurezza nazionale in questi termini: «Ha la capacità di instaurare in America una tirannia totale, e dobbiamo assicurarci che questa agenzia e tutte le agenzie dotate di questa tecnologia operino all’interno della legge e vengano opportunamente controllate ».
Ciò su cui Church ci metteva in guardia era la capacità dell’intelligence americana di raccogliere informazioni. Grazie alle nuove tecnologie digitali, oggi Nsa, Fbi e Cia possono controllare i cittadini con una precisione che la Stasi — la polizia segreta dell’ex Ddr — non si poteva nemmeno sognare. Snowden ci rivela che la cosiddetta “comunità dell’intelligence” si è trasformata nella Stasi Unita d’America.
Siamo dunque precipitati nell’abisso tanto temuto dal senatore Church. Adesso che Edward Snowden ha rischiato la propria vita per farci sapere cosa sta accadendo, con un gesto di coraggio civile che probabilmente indurrà altri individui in possesso di dati analoghi e dotati di una coscienza e un patriottismo simili al suo a fare altrettanto — nella sfera pubblica, nel Congresso, nello stesso ramo esecutivo — intravedo l’inattesa possibilità di risalire, e uscire, dall’abisso.
Facendo pressione sul Congresso affinché costituisca un comitato apposito per indagare sulle rivelazioni di Snowden, un’opinione pubblica informata potrebbe ricondurre sotto un’effettiva supervisione la comunità dell’intelligence, limitandone il campo d’azione e ripristinando così le garanzie sancite dalla Carta dei diritti.
Snowden ha fatto ciò che ha fatto perché ha visto i programmi di sorveglianza della Nsa per quel che sono: un’attività incostituzionale e pericolosa. Questa invasione su larga scala della privacy dei cittadini americani e stranieri non contribuisce alla nostra sicurezza, ma mette a rischio le stesse libertà che desideriamo tutelare.
© The Guardian — La Repubblica (Traduzione di Marzia Porta)

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