Epifani cauto: fermarsi un attimo sulle modifiche alla Costituzione

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ROMA — Compagni, indietro tutta. Con Berlusconi ancora in campo, i democratici cominciano a nutrire forti dubbi sull’opportunità di tirar dritti verso Parigi, alla ricerca di una nuova forma dello Stato. Massimo D’Alema lo dice con una battuta: «Non possiamo importare il presidenzialismo come si importa lo champagne».
Aprendo al Nazareno la sua prima direzione nazionale da segretario — che ha approvato il bilancio con un disavanzo di sette milioni — Guglielmo Epifani propone di «fermarsi un attimo» sulle modifiche della Costituzione, per non «cadere in una spirale che non ci porterebbe a fare le riforme». E se Susanna Camusso lo boccia senza appello, il leader si dice «non ostile» al semipresidenzialismo: «È complesso, ma non è il diavolo». In vista dei ballottaggi Epifani riesce a contenere le fibrillazioni e apre le danze in vista del congresso, che si terrà entro l’anno come previsto: ma procederà con grandissima calma. Le assise cominceranno dal basso, la figura del segretario non coinciderà più con quella del candidato premier e sarà eletto con le primarie, sia pure rivedute e corrette. La nuova segreteria rispecchia in modo scientifico tutte le anime del Pd. Per Renzi entra Luca Lotti, con delega agli enti locali. Il sindaco di Firenze sperava di strappare per il suo braccio destro la macchina organizzativa in vista delle primarie, ma le resistenze sono state troppo forti e la casella più importante è passata dal bersaniano Nico Stumpo al bersaniano Davide Zoggia. «Ho promesso a Letta che me ne sto buonino per un po’ — ha confidato ai suoi Renzi — Ma non mi devono mettere i piedi in testa». Il timing della discesa in campo è giocoforza legato alle tappe di un congresso parzialmente congelato, con le candidature che slittano all’autunno e il sindaco che prende tempo: «Ci sono questioni più importanti…». La direzione gira intorno alle riforme. La tabella di marcia di Epifani vede la forma di governo e la legge elettorale alla fine del cammino, il che rivela il tentativo di disinnescare una mina rischiosa per le larghe intese. Il segretario offre al premier un sostegno «pieno e leale» e spera che l’esecutivo duri due anni. Le «minacce» del Cavaliere lo preoccupano e il segretario chiede responsabilità per mettere in sicurezza le riforme: «Dobbiamo essere pronti a tutto se dovesse prevalere negli altri la decisione di far saltare il tavolo». Apre al referendum tra gli iscritti chiesto da Beppe Fioroni e Pippo Civati e invita a lasciare «fuori dalla mischia» Palazzo Chigi e Quirinale, chiarendo che le riforme si fanno per rendere «meno fragile» il Paese e non «per tenere in piedi il governo». Alcuni deputati del Pd, non solo veltroniani, presentano un disegno di legge per il semipresidenzialismo. D’Alema invece sembra ormai propendere per il rafforzamento del primo ministro e contro il sistema francese, al quale aveva aperto nei giorni scorsi. «Vediamo senza pregiudizi ideologici qual è la forma migliore» ragiona l’ex premier alla presentazione del libro di Andrea Spiri su Craxi La svolta socialista, con Paolo Mieli, Giuliano Amato e Stefania Craxi: «Il semipresidenzialismo non mi spaventa, ma servono contrappesi e garanzie. L’Italia non è la Francia…».


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FACEVA certamente effetto vedere l’aula di Montecitorio per metà  deserta: segnalava con la forza d’una immagine la spaccatura del Paese in due, che dura ormai con alterne vicende dal 1994 avendo raggiunto poi il suo culmine negli anni successivi al 2001. Sono dunque ben tre legislature durante le quali la maggioranza ha imposto la sua dittatura, le regole sono state aggirate o travolte, la questione morale è di nuovo tornata di drammatica attualità .

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