Coppie gay, storica sentenza in America
NEW YORK – «Con questa doppia sentenza la Corte Suprema ha raddrizzato un torto e tutto il Paese ne esce vincitore». A bordo dell’Air Force One che lo portava verso l’Africa per una visita ufficiale di stato, il presidente americano Barack Obama è stato tra i primi a commentare la storica decisione del massimo tribunale Usa che ieri mattina ha dichiarato incostituzionale il DOMA (Defense of Marriage Act). La legge firmata nel 1996 dall’allora presidente Bill Clinton che riconosceva nella definizione di matrimonio esclusivamente l’unione legale tra un uomo e una donna, sollevando quindi tutti gli Stati dall’obbligo di riconoscere le unioni gay celebrate in altre giurisdizioni.
Nella seconda sentenza la Corte ha invece riaperto la strada per la ripresa dei matrimoni gay in California banditi dal 2008 in seguito all’entrata in vigore della controversa Proposition 8 che, tramite referendum, vietava i matrimoni tra persone dello stesso sesso. I giudici hanno sentenziato che i sostenitori del referendum non avevano l’autorità di presentare appello contro le decisioni dei tribunali di livello inferiore, che avevano già dichiarato il divieto incostituzionale.
L’ago della bilancia sul DOMA è stato il giudice moderato Anthony Kennedy, il cattolico praticante scelto da Ronald Reagan che ha messo la firma decisiva. Contro di lui, compatti, gli altri quattro cattolici della Corte: Anthony Scalia, Clarence Thomas, Samuel Alito e il giudice capo John Roberts. Kennedy ha invocato il quinto emendamento che protegge le «uguali libertà delle persone» e a lui si sono uniti i quattro giudici liberal: Ruth Bader Ginsburg, Stephen Breyer, Sonia Sotomayor e Elena Kagan. «Un giorno tragico per il matrimonio e per la nostra nazione», ha dichiarato Timothy Dolan, arcivescovo di New York, presidente della Conferenza Episcopale Usa. «La Corte Suprema — ha detto ancora — ha commesso una profonda ingiustizia contro il popolo americano» e «ha sbagliato». La Corte suprema non si è però pronunciata in merito alla legalità del divieto di nozze gay, in vigore in ben 37 Stati. «Non abbiamo l’autorità per decidere sul merito di questo caso», ha scritto nell’opinione di maggioranza sulla Proposition 8 il giudice John Roberts.
Ma al di là delle terminologie giuridiche, la giornata di ieri ha avuto anche il volto, fragile e segnato dalle rughe di Edith Windsor, l’83enne vedova di New York, paladina dei diritti dei gay, una delle attiviste che hanno presentato ricorso contro il DOMA. L’anziana pensionata contestava al governo federale di averle fatto pagare 363mila dollari di tasse di successione alla morte della moglie Thea Spyer, sposata nel 2007 a Toronto dopo 40 anni trascorsi insieme, perché non è stato riconosciuto il loro matrimonio. «È una terribile ingiustizia ed io non mi aspettavo un trattamento del genere dal mio Paese», afferma Edith, sottolineando come la sua decisione di fare ricorso «è stata una questione di principio, più che economica, perché mi sono sentita discriminata».
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