Caso Merkel, duello tra Epifani e Alfano
ROMA — «Queste cose le dicono anche Rajoy, Hollande e Cameron. Ma se le dice Silvio Berlusconi, apriti cielo». Angelino Alfano offre la chiave interpretativa corretta dell’intervento del Cavaliere che ha invitato il premier Enrico Letta a farsi valere in Europa per contrastare gli atteggiamenti egemonici della Germania non escludendo di fare a braccio di ferro con Angela Merkel. «Berlusconi — chiarisce — ha sostenuto una tesi economica che è quella che occorre riprendere la marcia espansiva». Il nostro, aggiunge, «è un atteggiamento da fierezza italiana, siamo italiani e difendiamo gli interessi nazionali nel contesto europeo». Non solo, a suo giudizio, «se si leggono i giornali italiani c’è un tentativo evidente di provocare la reazione del Pd». Del resto, l’opinione del vicepremier è che «questo sia assolutamente il modo di fare valere gli interessi nazionali. La scelta del governo Letta di puntare su un piano straordinario per l’occupazione giovanile va nella direzione giusta». Riassumendo, Alfano fotografa in questo modo la situazione: «O si cambia rotta o l’Europa sarà un continente in declino».
Il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni, però, alludendo a Berlusconi, sostiene una tesi diversa: «Molti euroscettici hanno avuto il tempo per fare a braccio di ferro con la Merkel e non lo hanno fatto. Si vede che…». Non molto diverso il commento del segretario del Pd, Guglielmo Epifani: «Da un certo punto di vista le cose che dice Berlusconi hanno un fondamento però quando lui era al governo il braccio di ferro lo ha perso». E no, obietta Renato Brunetta, «la Merkel sta segando il ramo dell’albero su cui è seduta». Per il capogruppo dei deputati del Pdl occorre reagire con un pacchetto di misure choc per ridurre la pressione fiscale (dall’Imu sulla prima casa al blocco dell’aumento dell’Iva, alla detassazione per le assunzioni dei giovani), accompagnate da una grande stagione di semplificazioni burocratiche e normative su famiglie e imprese. «Questo insieme — specifica — costa circa venti miliardi. Noi pensiamo che l’Europa ce li possa concedere anche in ragione del fatto che negli ultimi tre anni e mezzo abbiamo avuto due terremoti che hanno inciso sulla nostra economia e sulla crescita».
Lo scambio su come agire in Europa si inserisce in una fase nella quale il governo ha appena avviato, con l’approvazione del ddl costituzionale, il percorso che porterà — questi sono gli impegni presi — entro diciotto mesi a modificare in profondità l’assetto istituzionale. Il ministro delegato, Gaetano Quagliariello, conferma il cronoprogramma: «Cambiare la Costituzione non si può certo fare in una settimana». Ma avverte: «Grillo può stare tranquillo. Se la maionese prende o impazzisce, lo si capisce prima di diciotto mesi. Se il processo si dovesse arenare, certamente non ci metterei diciotto mesi per accorgermene e ne trarrei le conseguenze». In ogni caso, aggiunge, «se si scioglie il nodo della forma di governo abbastanza presto, è possibile anche saltare la fase intermedia e iniziare immediatamente a lavorare alla legge elettorale che si accorderà con la forma di governo».
Intanto i 35 saggi che aiuteranno l’esecutivo dovrebbero vedersi già mercoledì prossimo. E uno di questi, Lorenza Carlassare, al centro di polemiche, dichiara di «sentirsi rassicurata dopo l’incontro al Quirinale perché non decideremo nulla ma ci limiteremo a un lavoro di studio: per questo parteciperò convinta alle riunioni». La docente, tuttavia mette in guardia dal fatto che «tutta la discussione sulle riforme si esaurisca nella modifica della forma dello Stato. La presidenza della Repubblica è una delle istituzioni che ha funzionato meglio. È un organo sopra le parti e in questa fase ha assunto un ruolo di garanzia, non si comprende quindi perché lo si voglia cambiare».
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