Bossi: io segretario? Lasciamo perdere

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BRUGHERIO (Monza) — «La riconoscenza non può essere una virtù del giorno prima». Umberto Bossi scalda il cuore dei sostenitori, eppure non li accontenta fino in fondo. Il fondatore è alla sua prima uscita pubblica dopo le interviste di fuoco contro il «traditore» Roberto Maroni. Il primo bagno di folla dopo l’annuncio che sì, intende ricandidarsi al congresso per la successione al leader con gli occhiali rossi. Loro, i supporter anti maroniani lo hanno accolto con un mega striscione di una quindicina di metri almeno: «Umberto Bossi la Lega sei tu».
Sul palco c’è Monica Rizzi che tuona «Umberto, l’unico capo sei tu». Eppure, lui li accontenta solo in parte. Certo, parla di riconoscenza mancata. Certo, irride lo slogan «Prima il Nord» perché bisogna «parlare di Padania». Certo, dice di «non avere paura perché le cose si raddrizzeranno». E ad ognuna delle uscite torna il vecchio grido «Bossi, Bossi». Eppure, il comizio è politico. Bossi parla di allevatori, di federalismo che torna d’attualità, dell’importanza del territorio. E poco, pochissimo delle beghe interne. Non annuncia la guerra termonucleare contro i nemici maroniani che accenderebbe il parterre. C’è chi gli grida: «Espelli Tosi». Ma lui non concede nulla: «Non sono d’accordo. Io non voglio espellere nessuno. Il problema è che qui ne hanno espulsi troppi». E conclude con un appello da leader che non vuole uccidere la sua creatura: «Qui non sono in gioco né Bossi né Maroni. Ma il ruolo di garanzia per il Nord della Lega anche quando nessuno di noi due ci sarà più». I giornalisti, a proposito della sua candidatura a segretario, gli chiedono del congresso venturo. Lui getta acqua sul fuoco: «Lasciate perdere. La Lega deve essere salvata».
Va detto che c’è un altro problema. Sarà pure arrivato dalla Liguria l’ex deputato Giacomo Chiappori, saranno venuti anche «alcuni amici veneti». Ma la piazza, che certo non è la Piazza Rossa, non si può dire straripante, ci saranno, ad essere generosi, un paio di centinaia di persone. Un po’ pochine per parlare come fa qualcuno dei presenti di «inizio della riscossa».
Del resto, al capo opposto della Padania, in Veneto, anche Maroni sceglie il profilo basso: «Io non faccio il rottamatore — osserva — per me è un’espressione orrenda. Ma il partito deve puntare su una guida giovane».
In ogni caso, un primo risultato le sortite del fondatore l’hanno già determinato: il congresso federale straordinario che Maroni immaginava per la prossima primavera — e cioè, prima della maxi tornata elettorale — con ogni probabilità sarà spostato. Resta da decidere il quando. «Una cosa — ha detto Maroni ai suoi — sarebbe stata un congresso unitario in cui tutto il movimento avrebbe avviato insieme il rinnovamento necessario. Altra cosa, e ben diversa, è quella che si sta profilando: un congresso ad alta conflittualità in cui, al di là del risultato, ci sarebbero polemiche e titolacci sui giornali». E dunque, gli estremi dell’alternativa sono due: un anticipo (rischioso) al prossimo autunno, oppure la scadenza naturale del mandato. In mezzo, tutte le possibili modulazioni determinate dal calendario politico, dalla tenuta del governo, dall’opportunità, dalle valutazioni del divenire. Sempre che il movimento non trovi prima una nuova pace.
Il cannoneggiare bossiano ha comunque spinto il capogruppo nordista alla Camera, Giancarlo Giorgetti, a dare forfait al comizio che avrebbe dovuto tenere ieri sera. Da dirigente di primissimo piano del nuovo corso maronita, il rischio sarebbe stato quello di doversi ritrovare a commentare le possibili dichiarazioni alla nitroglicerina del fondatore. Che peraltro non sono arrivate.
Marco Cremonesi


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