Aumento Iva, l’ipotesi del rinvio di 3 mesi

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ROMA — «Batteremo ogni strada per evitare l’aumento dell’Iva. Lavoriamo in questa direzione». Il ministro dello Sviluppo Economico, Flavio Zanonato, garantisce che il governo «sta facendo tutto quanto il possibile per trovare una copertura alternativa» all’aumento dell’imposta sui consumi, il cui incasso è già previsto in bilancio, dal prossimo primo luglio. Scontata la reazione positiva del Pdl, finora molto critico sul pessimismo manifestato fin qui dal ministro. Anche se, a dieci giorni dalla scadenza, una soluzione ancora non c’è.

L’ipotesi più accreditata, anche perché è la meno onerosa da sostenere per i conti pubblici, è quella di un mini-rinvio di tre mesi, che potrebbe arrivare sul tavolo del Consiglio dei ministri, insieme alle misure per favorire l’occupazione giovanile, martedì o mercoledì prossimi, all’immediata vigilia del Consiglio Europeo.

Lo slittamento di tre mesi dell’aumento dell’Iva costerebbe poco più di un miliardo di euro, ma eviterebbe almeno di appesantire l’economia legata al turismo nei mesi estivi, e lascerebbe al governo un certo margine di tempo per impostare un piano di intervento fiscale che includa anche la revisione dell’Imu e l’aggancio con la delega per la riforma delle imposte che proprio oggi ricomincia il cammino parlamentare.

Anche perché sulla struttura dell’Iva, la sua gestione e soprattutto i controlli, c’è tantissimo lavoro da fare. L’evasione dell’imposta, ad esempio, resta a livelli a dir poco inquietanti. Solo per il 2011 la Corte dei conti ha stimato un evasione Iva di ben 46 miliardi di euro, con una sottrazione di base imponibile di 250 miliardi, pari al 27% di quello che sarebbe l’imponibile potenziale. Un euro ogni quattro dell’Iva dovuta all’erario, insomma, sparisce grazie alla mancata emissione delle fatture, alle compensazioni fraudolente, al mancato pagamento dell’imposta dichiarata. Tutti fenomeni favoriti dall’estrema complessità dei meccanismi di funzionamento dell’imposta, che fa lunghissimi giri dal momento della sua maturazione fino a quello dell’incasso da parte dell’erario. Un percorso che spesso s’interrompe, con la sparizione del dovuto. Tanto che la Corte dei conti, ha proposto ieri in Parlamento una misura assolutamente drastica: fare in modo che la pubblica amministrazione riversi all’erario l’Iva che deve pagare sulle fatture per l’acquisto di beni e servizi. Direttamente all’erario, senza pagarla al fornitore. Proprio per evitare che quell’Iva finisca per perdersi nei meandri dell’evasione, che ha spinto la pressione fiscale effettiva in Italia, secondo la magistratura contabile, al 53%.

Qualche mese di tempo in più permetterebbe poi al governo di rivedere tutti i regimi di esenzione dell’Iva, che sono innumerevoli, ma anche di rimodulare le aliquote per alcuni beni e servizi. I tassi di prelievo sono tre, 4, 10 e 21%, ed in alcuni casi per lo stesso bene differiscono in funzione degli ingredienti, dell’impacchettamento o della distribuzione (basterebbe solo parlare del pane, che dal fornaio costa il 4%, ma se c’è più del 2% di zucchero o si prende al supermercato costa il 10%, ma torna al 4% se invece dello zucchero c’è il saccarosio, che è la stessa cosa). Sarebbe un’operazione di riordino e razionalizzazione, non esplicitamente mirata a fare cassa. Per tirar fuori risorse vere bisognerebbe operare variazioni delle aliquote non immaginabili, come l’aumento dell’Iva su bar, ristoranti ed alberghi, che oggi è al 10%.

Intanto il consiglio dei ministri ieri ha reso disponibili i primi 280 milioni per il pagamento dei debiti sanitari cumulati al 31 dicembre 2012. Le Regioni dovranno farne richiesta entro il 15 luglio.

Mario Sensini


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